“E se Gramsci non fosse morto il 27 aprile del 1937? Se ‘Moby Dick’ non fosse solo un libro, un mito, una metafora, un’allegoria? Se quello della vendetta fosse il più puro, il più nobile dei sentimenti”? Sono queste le domande che l’autore di ‘Nino e la Balena’ pone nella quarta di copertina della sua ultima fatica letteraria. La risposta non è affatto semplice, come non lo sono quelle agli altri molteplici dubbi che danno da pensare al lettore una volta salito a bordo del transatlantico Rex, il teatro dove va in scena la narrazione fantastorica di Giacomo Casti. Un teatro, si badi bene, dove, per dirla con Gigi Proietti, “tutto è finto ma niente e falso”, assunto imprescindibile per la comprensione di questa appassionante opera che ci restituisce un Antonio Gramsci più vivo che mai. Nonostante il grande Leviatano.
Gabriel Garcia Marquez sosteneva che la letteratura nacque il giorno in cui Giona rincasò e raccontò alla moglie che aveva fatto tardi perché era stato inghiottito da una balena. Senza la disavventura del profeta probabilmente non avremmo mai letto il celeberrimo “Call me Ishmael”, uno degli incipit più popolari della narrativa mondiale, e di conseguenza Giacomo Casti non avrebbe potuto scrivere ‘Nino e la Balena’ fresco di edizione da parte di ‘Le Milieu’ nella collana ‘Visionari’.
Il viaggio che l’autore propone è chiaramente debitore della tradizione letteraria marinaresca e non solo per il lampante riferimento al Moby Dick di Herman Melville. Fra le righe si trovano: un capodoglio che si racconta in prima persona come la balena di Luis Sepulveda, jazz e musica popolare come se si viaggiasse sul Virginian reso celebre da ‘Novecento’ di Alessandro Barrico, la tensione vissuta dell’equipaggio del Nautilus del Capitano Nemo di Jules Verne e le riflessioni del peregrinare di Pino Cacucci fra i cetacei della Baja California. Ma questa è solo una parte della narrazione. Sul transatlantico Rex che solca l’oceano in direzione Nuova York viaggia un piccolo gigante del pensiero moderno che ha appena inscenato la sua morte e per continuare a vivere è costretto a percorrere la rota verso Babilonia, la grande meretrice. Eccolo Antonio Gramsci a bordo del mostro d’acciaio, gloria e vanto dell’Italia fascistizzata, più riflessivo e agitato dell’oceano che attraversa. La descrizione che ne fa l’autore, l’Ismaele di questa avventura, è fortemente cinematografica, così come sembra uscita dalla celluloide tutta la gamma di personaggi che incontra a bordo, da Pip il trombettista a la soubrette ferrarese Marianna fino a Marcello, il cuoco di terza classe. Immaginifico questo Gramsci, certo, ma è proprio la penna di Giacomo Casti a renderlo più realistico attraverso flashback che sono spaccati di vita vissuta dal pensatore sardo, ma anche attraverso l’eros, i vizi e i desideri che lo sottraggono al mito per restituirlo al lettore più umano che mai. Avete mai pensato a un Antonio Gramsci che si lancia in pista in un forsennato swing? Probabilmente no, e allora cominciate a ringraziare l’autore per questa fantasmagorica scena.
Il Gramsci che attraversa l’oceano compie una sorta di viaggio speculare a quello fatto da Michele Schirru, l’anarchico sardo che venne dall’America per assassinare Benito Mussolini. Entrambi sono animati da uno spirito di vendetta, sentimento che l’ex deputato del Partito Comunista d’Italia cova e sviluppa a bordo del Rex, fra il fumo delle sigarette e le pagine del ‘Moby Dick’ appena tradotto in lingua italiana da un giovane Cesare Pavese. Un sentimento molto simile a quello di un cetaceo dentato che si agita in acque non troppo distanti e chiama a raccolta gli abitanti del mare, compresi quei delfini che Gramsci giovane studente al Liceo Dettori aveva visto per la prima volta assieme a Demetrio, suo compagno di pensione in casa della signora Doloretta, dal molo del porto di Cagliari.
Andando avanti con la lettura la domanda nasce spontanea. Chi è il vero nemico da combattere, chi è il grande Leviatano da sconfiggere? Il capitalismo del quale è simbolo la Babilonia che sta raggiungendo? Il fascismo che lo ha costretto ad anni e anni di carcerazione e sta per trascinare l’Italia verso la catastrofe? O lo stalinismo che schiacciando ogni forma di dissenso ha trasformato il sogno rivoluzionario in un incubo? Non è detto che il lettore trovi una risposta a queste domande. Quello che è certo è che il libro di Giacomo Casti invita a una profonda riflessione sul senso delle azioni umane ma anche sul gigantesco lascito che Antonio Gramsci ha voluto regalare ai posteri rendendolo alla fin dei conti immortale.
Nino e il suo pensiero sono più vivi e attuali che mai. Forse siamo noi che fatichiamo a riconoscere il Leviatano da combattere e che talvolta somiglia tanto a quello cantato da Enrico Ruggeri diversi anni fa. Forse la bianca balena è veramente la guerra che abbiamo dentro di noi, un conflitto dal quale non possiamo sottrarci e del quale non conosciamo il prezzo da pagare. Ecco, il libro di Giacomo Casti può essere un buon faro per illuminare il nostro incerto viaggio, dove spesso ci si sente soli anche all’interno della ciurma, non tanto, parafrasando Pino Cacucci, per trarre un senso dalla meta finale, ma per dare valore a ciò che incontriamo lungo il cammino.