Grazia Deledda è per gli studenti sardi ciò che Alessandro Manzoni è per quelli italiani. Si provi a dire la verità, al netto delle manifestazioni retoriche, spesso con funzione autocelebrative, che hanno riempito la Sardegna nell’ultimo anno e mezzo: un boccone amaro, un incubo, una tenaglia imposta agli adolescenti da professori e programmi. Eppure, Deledda e Manzoni sono davvero due giganti e leggerli non può che far bene. Solo che farli amare oggi, con le modalità con cui si sono proposti e imposti per tutto il Novecento è quanto meno velleitario.
Ci voleva tutta l’incoscienza, tutto l’estro e l’irriverenza di Bakis Beks per provare a cambiare approccio. Per provare a far capire quanto Grazia Deledda sia ancora importante, attuale. È questo che fa “Nel nome del padre”, un opera teatrale ispirata da “La Madre”, in cui narrativa e rap si incontrano e si fondono, fino a divenire letteratura dal sapore — anzi, dal flava —attuale, moderno.
Lo spettacolo
In scena lo scorso 28 gennaio al Ten di Nuoro, vestito da prete, così come Paulo, il parroco di Lollove, protagonista dell’opera deleddiana pubblicata per la prima volta a puntate nel 1919 nel giornale Il tempo, e in volume nel 1920 per la Treves di Milano, Bakis Beks fa quello che gli riesce meglio: racconta attraverso le rime che battono su una cassa cadenzata. Accompagnato al piano e tastiere da Omar Bandinu e al basso e contrabbasso da Pierluigi Manca, il rapper barbaricino interpreta in un modo originale e coinvolgente i brani deleddiani.
“Grazia Deledda così non l’aveva mai fatta nessuno. E un motivo ci sarà” ironizza introducendo ciò che il pubblico che accorre ai suoi spettacoli andrà a vedere di lì a poco.
La storia, è nota. Una delle opere più amate della Deledda, frutto di studi che ne hanno messo in luce i più svariati aspetti, come l’origine tutt’altro che fantasiosa della vicenda e dei personaggi. È come è raccontata che fa la differenza.
“Lui si piglia un bè male, il tradimento di lui che mette la mano sulla bambina ma pensa ad Agnese. Ora vi raccontiamo questa cosa”. E parte un rap. È questo lo stile narrativo di Bakis.
Slang giovane e nuorese, rime asciutte, sapientemente costruite che si incastrano come un meccanismo perfetto con i beat, le linee di basso e il piano.
È questo il linguaggio che usa Bachisio Marras, vero nome del rapper barbaricino, per fare breccia nei suoi spettatori. Basta poco più di un’ora per far sì che quello spiraglio si trasformi in curiosità e interesse prima, ed entusiasmo poi.
Il pubblico ideale
Uno degli ultimi spettacoli si è tenuto al TEN Teatro Eliseo di Nuoro, dove sono accorsi studenti di diverse scuole della Sardegna per la prima edizione del premio “Grazie, Deledda”, sezione speciale del premio letterario nazionale “Filippo Sanna”, istituito per ricordare il 22enne vittima del terremoto che nel 2016 devastò Amatrice e che promuove tra i giovani delle secondarie lo studio e la ricerca sulle opere della scrittrice nuorese.
Quale occasione migliore per invitare Bakis Beks con il suo spettacolo?
I ragazzi, moltissimi accompagnati dai loro genitori assistono attenti. Applaudono, ridono, capiscono che quella storia scritta oltre un secolo fa sia, di fatto, immortale, perché parla delle passioni delle donne e degli uomini, dei peccati, del rimorso. Di emozioni che ognuno prova perché legate al concetto stesso di umanità.
Sarà per questo che anche i loro genitori si fanno trascinare da quel modo così nuovo e inusuale di raccontare Grassiedda. Partono gli applausi, spesso a scena aperta. Preludio di quello che accadrà dopo l’ultimo brano, che dà il titolo allo spettacolo: “Nel nome del padre”. Standing ovation e dieci minuti di applausi, che costringono Bakis Beks, Omar Bandinu e Pierluigi Manca a tornare sul palco più volte.
“Grazia Deledda è grossa davvero, ma se continuiamo a comunicarla come facevamo cinquant’anni fa, se non le togliamo la polvere di dosso, come possiamo pensare di renderla attuale?”.