Su Fabrizio De André è stato detto e scritto tanto, tantissimo, qualche volta troppo. Biografie, tributi, documentari, ristampe, concerti commemorativi, fiction e una fondazione che porta il suo nome, ne tengono quotidianamente viva la memoria e di conseguenza è molto alto il rischio di parlarne senza scadere nella retorica e risultare mediocri, scontati e ripetitivi. Lo stesso assunto vale per quanto concerne il suo rapporto con la Sardegna (della famosa frase sulla “vita in Sardegna” ci fregiamo un poco tutti quanti con grande orgoglio, quasi fosse un certificato di garanzia) e in particolare con la Gallura.
La Gallura dicevamo, quel lembo di terra sconnessa fra il massiccio del Limbara e il Tirreno, che attirò fatalmente questo buon figlio di Genova già negli ultimi anni Sessanta e che sarà cantata in una straordinaria serie di affreschi di sontuosa e disperata umanità, divenendo l’emblema di questa “sardità” acquisita.
In Sardegna Faber penserà e comporrà molte delle sue canzoni. È rimasto famoso l’episodio di Porto Bello, quando nell’estate del 1974 “evaporato in una nuvola rossa in una delle molte feritoie della notte”, fra insonnia ed ebbrezza, scrisse uno dei suoi rari momenti autobiografici, la feroce e mordace ‘Amico Fragile’, che finirà in ‘Volume 8‘ creato in gran parte assieme a Francesco De Gregori.
Qualche anno dopo arriva la decisione di acquistare un vecchio stazzo e una tenuta nell’entroterra nei pressi di Tempio dove si trasferisce assieme alla sua nuova compagna Dori Ghezzi e dove il 30 novembre del 1977 nascerà la figlia Luvi. Nel 1978 è la volta di ‘Rimini‘, scritto a quattro mani con l’allora giovanissimo Massimo Bubola che contiene ‘Zirichiltaggia‘, un vivace country-western con testo in un perfetto gallurese.
A quell’agosto risale anche l’incontro con i ragazzi della Premiata Forneria Marconi durante la data nuorese del loro tour in Sardegna; Fabrizio va a trovarli, li conosce da quando con il nome di I Quelli avevano suonato nel suo album ‘La Buona Novella‘ del 1970. Nasce così l’idea di un tour assieme che si concretizza pochi mesi dopo partendo da Forlì in dicembre e si concluderà in febbraio a Trieste. Nonostante le numerose critiche la serie di concerti si rivelerà trionfale e con i pezzi registrati a Bologna e Firenze verrà inciso un doppio LP dal vivo, destinato a diventare uno dei momenti più alti della musica italiana.
Ma il 1979 è anche l’anno difficile per Faber in Sardegna. L’isola è travolta da un’intensa ondata di sequestri di persona che la notte del 27 agosto coinvolge direttamente il cantautore genovese e la sua compagna, prelevati dalla loro tenuta dell’Agnata e rilasciati soltanto dopo il pagamento di un riscatto e quasi 120 giorni di soggiorno forzato nell’Hotel Supramonte. La drammatica esperienza ispirerà fortemente Fabrizio De André per l’omonimo disco successivo, quello “dell’indiano”, che dagli spari della battuta al cinghiale della squadra di Marco Lattuneddu registrata in presa diretta, al parallelo fra gli indigeni sardi e i nativi americani, da ‘Franziska‘ a ‘Canto del servo Pastore‘, all”Ave Maria‘ in sardo cantata dall’arrangiatore Mark Harris, propagherà dai solchi “lunghi silenzi, orizzonti ampi e puri, piante fosche e montagne bruciate dal sole e dalla vendetta” cari alla narrazione deleddiana.
L’”incidente” cambierà profondamente Fabrizio. Alcuni sosterranno che già la vita campestre trascorsa in Gallura con Dori Ghezzi e la nascita della figlia lo avevano portato dall’essere un poeta maledetto forgiato di nichilismo autodistruttivo a diventare un artista dotato di gioiosa creatività trasformata, dopo il rapimento, in una travolgente voglia di fare che gli permise di ideare un disco di notevole intensità. Di certo inciderà sul rapporto fra De André e la Sardegna, che da quel momento non vivrà più come turista come egli si definiva fino ad allora, ma addentrandosi ancora più in profondità fra le sue genti, aderendo manifestamente a quello che allora veniva definito separatismo e diventando sempre più sensibile al problema della lingua e alle altre questioni sociali, ne diverrà progressivamente e sempre più intensamente figlio adottivo.
In quest’ottica va forse inquadrato anche l’esplicito perdono per gli esecutori del sequestro, ma non per i loro mandanti e la decisione di non costituirsi parte civile al processo di Tempio che si celebrerà con l’aula del tribunale stipata di pubblico, fra i quali tantissimi ragazzi che quel giorno, pur di assistervi, avevano marinato la scuola . E questa la dice lunga sull’affetto nutrito dai nuovi conterranei nei suoi confronti.
I riferimenti alla lingua e alla cultura isolana non mancheranno neppure negli album successivi. Basta pensare all’album ‘Le Nuvole‘ contenente ‘Monti di Mola‘, con la morale che quando un umile figlio del popolo vuole fare qualcosa di diverso, c’è sempre una sofisticheria burocratica pronta a impedirlo o ad ‘Anime Salve‘, con le launeddas di Mario Arcari in ‘Smisurata Preghiera‘ e ‘Disamistade’, prezioso brano che racconta in musica una storia allusiva alla mitica vicenda di Bustianu Tansu da Aggius, descritta da Enrico Costa nel romanzo storico ‘Il Muto di Gallura‘. Mark Harris racconterà che ancora nei suoi ultimi giorni, Fabrizio pensava a un disco notturno composto di quattro suite intimiste dedicate alla vita e alla morte, per ricordare un amico sardo scomparso recentemente. Non ebbe il tempo di portarlo a compimento.
Anche quest’ultimo pensiero è testimone dell’affetto sincero che Fabrizio De André serbò per una lunghissima parte della sua vita a questa terra “paradisiaca” che aveva casualmente incontrato “sulla sua cattiva strada”. Una terra scelta per amore e necessità, dove era ancora possibile sognare senza svegliarsi, condividere in silenzio il rispetto per la stessa scala di valori e quella solitudine anarco – individualista che a lui piaceva tanto.
Un luogo dove rimase sempre e comunque il poeta dei vinti e degli ultimi e dove continuò a disobbedire alle leggi del branco. “Come una svista, come un’anomalia, come una distrazione – e soprattutto – come un dovere”.
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