Come è cambiato il linguaggio di genere negli ultimi anni in Italia? La società si è evoluta di pari passo col linguaggio o è rimasta indietro? Vera Gheno, sociolinguista specializzata in comunicazione digitale, e Gigliola Sulis, docente di letteratura italiana all’Università di Leeds, ce lo raccontano in un articolo pubblicato nel 2022 sulla rivista The Italianist. Un pezzo cliccatissimo che di recente ha superato le 10 mila visualizzazioni, affermandosi come l’articolo più letto di sempre della rivista internazionale.
Dopo aver introdotto le differenze nell’espressione di genere in italiano e in altre lingue europee, Vera Gheno e Gigliola Sulis ripercorrono le tappe e i dibattiti a livello nazionale sui temi del linguaggio e del genere negli ultimi quarant’anni, considerando come punto di partenza il libro di Gheno ‘Femminili singolari. Il femminile è nelle parole’ (Firenze: effequ, 2019).
“Lo sprone è venuto inizialmente dal fatto che lavoro all’università in Gran Bretagna, dove gli studi di genere sono diffusi e istituzionalizzati (con corsi, master, dottorati, cattedre specifiche) – racconta Sulis – Quando ho cominciato a fare lezioni su questi argomenti, poi, studenti e studentesse mi hanno fatto notare che parlare dell’emersione del femminile era un passo importante ma non sufficiente, perché si eludevano i diritti linguistici delle identità non binarie presenti nel corpo studentesco. Da qui sono nate le conversazioni con Vera Gheno, che è un punto di riferimento imprescindibile negli studi di settore, sia per la sua attenzione e sensibilità per le istanze delle comunità LGBTQIA+, sia perché la sua ricerca scientifica si arricchisce della partecipazione attiva ai dibattiti sociali, a livello sia militante sia divulgativo”.
Alma Sabatini, tra sessismo linguistico e visibilità delle donne
L’istituzione della Commissione Nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna nel 1984 fu un elemento cruciale per quanto riguarda la sensibilizzazione sulle questioni di genere in Italia: in questo contesto, emersero i primi saggi e i primi scritti sul tema, tra cui ‘Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana’, opera di Alma Sabatini del 1986, un vero e proprio punto di svolta. Nel suo testo, Sabatini si concentra sull’importanza di nominare esplicitamente le donne attraverso dei sostantivi femminili affinché ottengano visibilità (sociale), sugli squilibri strutturali della lingua italiana in relazione al genere e, infine, sulle proposte per un uso non sessista della lingua italiana. Gheno sottolinea che “all’epoca, le proposte di cambiamento verso usi più rispettosi della diversità di genere furono viste da molti come un’imposizione, un attacco alla libertà di parola e una perdita di tempo, una linea di pensiero che non è ancora scomparsa nell’attuale decennio”. Nonostante ciò, un cambiamento significativo si manifestò negli anni Novanta con l’inserimento di oltre 800 femminili nel dizionario Zingarelli, segnalando una lenta accettazione delle proposte di Sabatini.
Blog, social media e questioni di genere
L’avvento di Internet e dei social media ha permesso un aumento esponenziale dei contributi al dibattito, con blog e piattaforme online che favoriscono una partecipazione diffusa. Nell’articolo Gheno spiega che “la questione è emersa dai contesti politici e linguistici per diventare un argomento che genera reazioni accese da parte delle persone, che sembrano essere più interessate che in passato a riflessioni metacognitive sulla lingua che usano e le loro comunità utilizzano”. Le resistenze e i motivi per cui evitare i femminili professionali, analizzati da Gheno, permangono: in alcuni casi i femminili “suonano male” o, in altri casi sono considerati ridicoli o, ancora, “le professioni sono neutre”. C’è anche chi afferma che “i problemi sono ben altri”, e per questo i cambiamenti linguistici non hanno alcun peso per il miglioramento dello status sociale delle donne.
Oltre il maschile-femminile
Infine, l’articolo si focalizza su un’evoluzione più recente, risalente alla fine degli anni Dieci, in cui la discussione si sposta dal binario maschile-femminile a soluzioni linguistiche più inclusive. “Per anni, in tanti e tante abbiamo fatto ricorso a espedienti quale l’asterisco per evitare il maschile sovra esteso nella scrittura non formale, dalle e-mail ai social media – spiega Sulis – Ultimamente, sia alcuni esponenti delle comunità LGBTQIA+ sia Vera Gheno hanno proposto di sperimentare con lo schwa (ə) perché, a differenza dell’asterisco, ha un suono, e quindi si può usare nel parlato. Ora assistiamo a un dibattito molto polarizzato sui pro e i contro di tale esperimento. Si va dalla negazione della necessità di una desinenza non binaria, ai dubbi pratici sull’utilizzo, fino all’interesse e alle sperimentazioni di militanti e professionisti dell’editoria, del giornalismo, della scrittura. Per adesso assistiamo a prove disordinate, in ordine sparso, ma il successo o meno di questo esperimento, o di altri, in futuro, lo decideranno i/le/ə parlanti e scriventi, normalizzandone l’uso”.
Nonostante i progressi, il dibattito italiano sul linguaggio di genere ha ancora tanta strada da percorrere. Secondo Sulis “per quanto ci sia ancora chi ritiene cacofonici o meno prestigiosi i femminili quali ‘ministra’, ‘direttrice’, ‘ingegnera’ o ‘architetta’, a quarant’anni di distanza dai primi studi queste forme sono ormai entrate nell’uso. Da quando abbiamo cominciato a intendere il genere in senso più esteso (si pensi alle lotte per i diritti della comunità LGBTQIA+, dal matrimonio alle adozioni), in parallelo anche in ambito linguistico si è sviluppata la riflessione su come garantire spazio a tutto lo spettro delle identità di genere, a come avere una linguaggio ampio. Su queste basi, mi sembra ipotizzabile che simili questioni di democrazia sociale e linguistica possano diventare ancora più centrali nel prossimo futuro, e l’interesse mostrato dalle giovani generazioni per le identità fluide o non-binarie è una garanzia in tal senso”.