Sorridere o non sorridere è un dilemma largamente discusso a più riprese in diversi periodi storici, proprio perché il linguaggio di molti marchi del lusso non prevede un sorriso sul volto di chi li rappresenta. Il 27 ottobre uscirà “The Triangle of Sadness”, commedia di Ruben Östlund premiato con la palma d’oro a Cannes e attesissimo nelle sale. Il trailer in circolazione mostra un frame dove un gruppo di modelli a un casting, sembrerebbe, sfoderano su richiesta uno sguardo “Balenciaga “imbronciato e subito dopo, quasi con cambio repentino e sempre su richiesta, cambiano completamente espressione per un marchio molto più economico. Nel caso del trailer diventa lo sguardo Balenciaga e lo sguardo H&M, noto marchio del fast fashion di un gruppo svedese.
L’uno corrucciato con le labbra rivolte verso il basso e l’altro sorridente e festoso, quasi giulivo.
Le strategie della comunicazione nella moda sono molteplici, ma perché spesso per un marchio di lusso è richiesta una certa serietà e di contro, la moda a basso costo ha bisogno di una spensierata euforia?
Prima di tutto è opportuno interrogarsi sulla comunicazione di cui ognuno di noi si fa portatore tramite il proprio abbigliamento. Ora, trasferiamolo su un più ampio gruppo di persone alle quali un determinato marchio si rivolge. Chiaramente entra in gioco una complessità umana molto difficile da identificare solamente attraverso la foto pubblicitaria, ed ecco che la pubblicità si arricchisce di strumenti via via sempre più contemporanei, non solo coinvolgendo professionisti del settore, ma perfino persone particolarmente seguite nei social media. Sfilata, video, film e documentari, altro non sono che una serie di foto in movimento necessarie a trasmettere un preciso stile di vita che quel determinato marchio vuole vendere. L’ abbigliamento ha una comunicazione corporea più potente della sola visione statica di un’immagine e ha bisogno di esprimersi anche attraverso le emozioni che suscita negli altri. L’ultima collezione di Balenciaga vede le modelle destreggiarsi in una passerella di fango, letteralmente. Lo scenario è cupo, la tematica è sociale, chi rappresenta tutto questo non può accennare un sorriso.
Oggi, ma non è sempre stato così.
Negli anni Cinquanta le modelle mostravano un sorriso accogliente e ammiccante, tra gli anni Ottanta e i Novanta le loro camminate in passerella erano al limite della performance teatrale sia che ammiccassero sia che si facessero più serie. Nonostante il tema delle differenti collezioni, con l’esponenziale successo raggiunto dalle top model proprio negli anni Novanta le passerelle le vedevano protagoniste qualche volta al di sopra dell’abito che indossavano. Parliamo di Naomi, Cindy e Claudia, per citarne alcune, giunoniche dee dalla bellezza irraggiungibile che solo con la loro presenza a una sfilata ne decretavano il successo. Oggi il mondo della moda cerca di diventare molto più inclusivo ed esistono modelle e modelli di ogni taglia e con ogni tipo di corpo, imperfetto o perfetto sembra essere un concetto indefinibile. Ciò che conta è l’abito, certo esiste sempre un messaggio sottobanco per chi guarda la moda come fenomeno culturale e sociale, ma di fatto il protagonista indiscusso è diventato lui: il marchio e la sua narrazione.
Non più dunque il personaggio che veste un certo abito, ma un’insieme di persone che vestono uno stile di vita. L’espressività dei modelli e delle modelle che solcano le passerelle lascia spazio all’espressione di un concetto, i loro volti devono essere asettici.
Se questo funziona per i marchi di lusso, funziona meno se indossi un prodotto fine a se stesso, privo di un messaggio più complesso. Un prodotto legato solo al fatturato, come possono essere i prodotti del demoniaco fast fashion, attinge ispirazione dall’imitazione. Il modello/attore di “The Triangle of Sadness” non può che essere felice di avere indosso un capo alla moda al costo di un hamburger. Il sorriso che vuole quel marchio maschera, deve farlo, il fatto che per ottenere quel prezzo non si è preoccupato dell’etica sul lavoro per chi l’ha confezionato, dell’attenzione all’ambiente e di tutto quello che oggi questi facilmente raggiungibili capi di tendenza hanno provocato alla filiera moda tutta, compresa quella che riguarda l’artigianato locale.
Sorriso o non sorriso non è il dilemma.