Il secondo lavoro di animazione firmato da Zerocalcare approda su Netflix ed è subito successo. “Questo mondo non mi renderà cattivo” ha la poetica tutta umana a cui Michele Rech ci ha abituato.
La storia si snoda in sei episodi, con quel gusto dolce/amaro mai artificioso che contraddistingue lo stile e la vita di Zerocalcare. Non c’è distinzione alcuna infatti tra uomo e artista e tutto si svolge sempre, sia nei suoi albi illustrati, sia in questa serie animata e in quella precedente “Strappare lungo i bordi” (leggi la nostra recensione qui), in un perfetto equilibrio tra vicenda personale e universale.
Parla al cuore di tutti, parla di periferia, di gentrificazione, di sciacallaggio dei media, di fascisti, di linguaggi, di abbandono. Tanti mondi, a volte inconciliabili, che però convivono nel marasma del quotidiano in cui ognuno è perso nelle sue lotte e talvolta si dimentica degli altri.
Empatia, questo ci chiede Zerocalcare, questo suggerisce la sua divertente e intelligente critica all’ottuso capitalismo contemporaneo. Non si deve lasciare indietro nessuno, si deve camminare al passo del più debole, schierarsi dalla parte giusta. E anche se la parte giusta a volte non è così chiara e netta come vorremmo non dobbiamo mai dimenticare la nostra umanità. Questo è ciò che dobbiamo preservare, tralasciando la presunzione di sapere, l’arroganza di arrivare da qualche parte, la certezza della propria posizione.
Una storia triste, animata dalla vivacità di una delle menti più creative in circolazione, ma pur sempre triste, in cui il senso di perdita, la droga, il rigurgito fascista occupano larga parte degli episodi e toccano il protagonista da vicino.
Ma nonostante l’amarezza di fondo, quella sensazione che ti resta dentro come “un polpo alla gola”, per citare uno dei suoi albi, ciò che emerge alla fine di tutto è l’amicizia, il valore assoluto. Un’amicizia che si compone di parole quanto di silenzi, di gesti fatti e mancati, l’indispensabile rete di affetti che rende accettabile il disagio del vivere.
Ancora una volta l’attenzione di Michele Rech per gli ultimi ne conferma la grande sensibilità, il suo interesse per le periferie, quei posti che nella visione dei media sono non luoghi abitati da strane creature che fanno cose folli, dimostra la capacità di scrivere una narrazione diversa, più giusta e inclusiva, uscendo da quei confini dettati da chi siede su comode poltrone e si riempie la bocca di inutili proclami o peggio specula su chi non ha voce per difendersi.