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Plastichiadi, ovvero un’insegnante, un cane e un polpo che decidono di fare un viaggio

Di Giacomo Pisano
01/07/2023
in Ambiente, Libri
Tempo di lettura: 7 minuti
Plastichiadi, ovvero un’insegnante, un cane e un polpo che decidono di fare un viaggio

Sembra l’inizio di una barzelletta, e forse un po’ lo è per come viene raccontato, se non fosse che questo viaggio è invece una missione serissima: pulire il mare dalla plastica.

“Plastichiadi”, edito da Condaghes, è il libro che l’insegnante Carola Ludovica Farci ha scritto per tenere memoria della sua impresa: un anno sabbatico in giro per l’Europa a ripulirla dai rifiuti, in particolare dalla plastica. Con lei la fedele Polly, un labrador mangiatutto, e l’altrettanto fedele polpomobile che prende il nome dal disegno di un polpo gigante realizzato sulla fiancata.

Carola, vorrei dire che il tuo viaggio è al limite della sofferenza ma dalla narrazione emerge che invece ti sei immersa fino alle ginocchia nella sofferenza psichica e fisica. Hai deciso di utilizzare una narrazione fortemente ironica che ha trasformato il tuo racconto in una sorta di “Giochi senza frontiere”. Ti ha aiutato a sopravvivere?

Ma no, dai, in realtà non è stata così tragica: ogni giorno – tra un’imprecazione e l’altra – mi dicevo che ero davvero fortunata a star facendo un’esperienza simile. I miei racconti nascono come serissimi resoconti su Facebook. Le persone commentavano esilarate quelli che secondo me erano accadimenti tragicissimi. Io scrivevo e la gente rideva (tutti tranne mia mamma. Lei piangeva). Per cui nel momento di scegliere un format per il libro mi son detta che un resoconto leggero potesse essere un modo per avvicinare il lettore medio a una tematica pesante e assolutamente apocalittica, che però, proprio per questo, in qualche modo ci rifiutiamo inconsciamente di osservare da vicino. Una sorta di istinto di sopravvivenza di specie che ci tiene lontani dal comprendere fino in fondo cosa sta accadendo. La risata, in qualche modo, vorrebbe spezzare questa catena.

Polly, foriera di emozioni altalenanti che spaziano dal terrore alla risata. Come è stato avere una compagna d’avventura così?

Polly = ANSIA. Non c’è altro modo per descriverla. Io non mi preoccupavo di dove mangiassi, dove dormissi, chi incontrassi. Mi preoccupavo esclusivamente di riportare lei sana e salva a casa. Gli unici pianti durante il viaggio sono stati per lei. Gli incubi lo stesso. Anche i miei genitori inizialmente mi scrivevano “TORNA A CASA”, ma poi si sono arresi e hanno cominciato a scrivermi “RIMANDA ALMENO IL CANE”.

In quanti paesi sei andata a pulire?

I Paesi sono stati Italia, Grecia, Turchia, Bulgaria, Macedonia, Kosovo, Albania, Montenegro, Bosnia, Croazia, Slovenia, e di nuovo Italia. Però contateli voi perché sono come i sette nani e ogni volta me ne manca uno al conteggio.

Come hai vissuto? Parlo di alloggio, cibo, spostamenti.

Ho vissuto grazie a due app per l’ospitalità. In una, Couchsurfing, la gente ti offre un divano, una brandina, un pavimento, quello che capita, in cambio di due chiacchiere e magari una ricetta italiana; è uno scambio culturale, fondamentalmente. Nell’altra, Workaway, lavori in cambio di vitto e alloggio. Soprattutto con quest’ultima ho fatto esperienze bizzarrissime, tra cui, quella che mi è rimasta maggiormente nel cuore, è la baby sitter di maialini vietnamiti in una famiglia del Montenegro dove lui cresceva i maialini come fossero degli animali domestici e lei voleva mangiarseli. Grazie a queste due app ho quasi sempre trovato ospitalità, per cui le mie spese si riducevano a circa 10 euro al giorno, in grandissima parte per la benzina. Per quel che riguarda gli spostamenti, invece, spesso mi chiedono se avessi programmato già tutte le mie tappe. La risposta è che io non so neppure programmare cosa mangio a cena, figuriamoci un viaggio di sette mesi. No, decidevo più o meno giorno per giorno, soprattutto in base alle persone nelle vicinanze che potevano darmi ospitalità: dalle loro offerte decidevo come e quando muovermi. 

Quanta plastica hai raccolto?

In tutto ho raccolto più di tre tonnellate di spazzatura, che significa che ce n’erano molte, molte, molte di più. Se mi chiedi quante di queste erano rifiuti plastici, con precisione non te lo so dire, perché nella maggior parte dei Paesi che ho visitato non c’era la raccolta differenziata (e anzi era già miracoloso che ci fosse quella dell’indifferenziata. Penso per esempio all’Albania, ma anche a moltissimi paesini della Bulgaria, che pure sta in Unione Europea). Facendo una stima ti posso però dire che circa il 90% dei rifiuti raccolti erano plastica. 

C’è speranza per il mondo?

Boh. A giorni mi pare di sì. A giorni dico assolutamente no. Dipende da come mi sveglio e da cosa mangio a colazione. Però razionalmente parlando direi che non si parla di “speranza sì/no” ma di gradazioni di speranza. Quello che è estremamente difficile è pensare non in termini di bianco e nero, ma di sfumature: abbiamo sicuramente compromesso alcune funzioni del Pianeta. Ma è su QUANTO queste risultino compromesse che giochiamo quotidianamente la nostra battaglia.

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