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Paolo Angeli, “Il sogno americano? Oggi è un incubo abitato da finzione e assenza di umanità”. L’inventore della chitarra sarda preparata chiude con Antonello Salis il Marina Cafè Noir

Di Carlo Argiolas
21/06/2025
in Cultura, Interviste, Musica e spettacolo
Tempo di lettura: 8 minuti
Paolo Angeli, “Il sogno americano? Oggi è un incubo abitato da finzione e assenza di umanità”. L’inventore della chitarra sarda preparata chiude con Antonello Salis il Marina Cafè Noir

Non ha bisogno di presentazioni roboanti, Paolo Angeli, inventore della chitarra sarda preparata, con cui da decenni seduce il pubblico a ogni latitudine. Il musicista di Palau plana a Cagliari domenica 22 alle 23 sulla terrazza del Bastione Saint Remy per chiudere insieme al camaleontico pianista e fisarmonicista Antonello Salis, la ventitreesima edizione di Marina Cafè Noir. “Non ho mai suonato in questo festival, del quale da anni sento parlare da amici e musicisti, non vedo l’ora di salire sul palco per dare vita a un concerto detonante e gioioso”, dichiara Angeli, atteso con Antonello Salis, il cui sodalizio dura da decenni.

“Il nostro incontro risale ai tempi della Bologna più visionaria e creativa, tra la fine degli anni Novanta e il Duemila, all’interno del Teatro Polivalente Occupato” ricorda il chitarrista: “Il battesimo in quello spazio off e antagonista con un concerto fortemente voluto da Bettina Cottone, co-fondatrice del teatro, ha segnato per sempre le nostre rotte, libere, sognatrici e anarchiche. Sono passati venticinque anni dal nostro debutto eppure la nostra musica non ha alcun riferimento nostalgico. È qualcosa che pulsa e si manifesta qui e ora, che esprime con la forza del caos, un dialogo con il presente. Ogni concerto è un libro aperto, con pagine bianche da scrivere e con l’obiettivo di scardinare le certezze, anche nella nostra dinamica di improvvisatori. Non c’è cosa più bella che sorprendersi e cercare di esplorare nuovi mondi anche dopo un quarto di secolo di convivenza. Quello che amo di Antonello è la sua capacità, nel corso della sua lunghissima carriera, di dare un continuo contributo per cercare di innovare i linguaggi musicali, con un profondo senso etico. Esprime un’identità ideologica che guarda all’avanguardia ma che, allo stesso tempo, sa cogliere la poesia delle melodie dei Beatles e farle confluire verso un’idea di musica totale. Posso dire che il nostro rapporto si è sempre bastano su questa volontà reciproca di scambio generazionale, con differenze di vedute ma con un obiettivo comune: liberare la musica. Non suoniamo insieme da tredici anni. Sarà elettrizzante ritrovarci a distanza di così tanto tempo”.

A metà giugno con i Tenore Murales di Orgosolo è stato ospite a Praga del Respect Festival.

“La collaborazione con questo splendido gruppo rappresenta per me una gemma preziosa. Lavorare con la tradizione sarda è estremamente complesso. Può essere facile cadere nel folklore, o nella world music patinata, oppure camuffare un incontro con i trucchi datati del muro contro muro, in cui non c’è un reale incontro ma un viaggiare in parallelo delle due espressioni artistiche. L’incontro con il Tenore di Orgosolo mi emoziona e lo dico con profonda convinzione. Perché questo straordinario gruppo vocale porta con se una delle pagine più belle della storia canora della nostra isola, oltre a rappresentare la memoria collettiva di una comunità. Mi lusinga che abbiano scelto di confrontarsi con una visione, quella espressa dalla mia chitarra orchestra. Non si tratta solo di creare un dialogo tra le diversità della cultura gallurese con quella barbaricina, incontro che di per sé rappresenta un elemento di innovazione e unicità, ma anche di un approdo verso un confronto linguistico e per generare nuove forme musicali. Il punto sorprendente è la capacità dei Tenore di affrontare la sfida di interazione con una galassia di stimoli sonori inediti, di tessere un dialogo con quest’isola senza nome che è la musica del domani. Il tutto avviene con una profonda consapevolezza storica e il rispetto reciproco della nostra diversità. L’intera stesura dei testi è una e vera e propria rilettura degli eventi più importanti del Novecento che hanno segnato in positivo e negativo la storia della nostra Isola. Si parla di colonizzazione, di identità, di antimilitarismo, della lotta di Pratobello, del ciclo della vita, di umanità. In questo incontro tradizione e innovazione vanno a braccio, così un passu torrau, una ‘oche lestra, si fondono e confondono con armonizzazioni distorte dal sapore zappiano e strutture ritmiche serrate, paesaggi sonori evocativi e psichedelici. Credo davvero che questo incontro sia qualcosa di speciale che lascerà il segno. Sono grato a Salvatore Corona, ideatore e direttore artistico di Dromos, per aver creduto in questo progetto creando la condizione per la prima assoluta lo scorso anno a Tadasuni. Anche a  Praga abbiamo percepito il calore del pubblico e ora attendiamo i prossimi impegni con grande entusiasmo. A breve si potrà vivere questa esperienza anche attraverso un disco”.

Prima del concerto in Cecoslovacchia, in marzo è volato negli Stati Uniti…

“Questo è un anno molto importante del mio percorso artistico. Ho realizzato una maratona di 16 concerti in 19 giorni negli States. È stato un tour entusiasmante, in cui ho toccato con mano l’importanza di un percorso di 30 anni di carriera. La dinamica che si vive portando dal vivo 3 album, Nijar, Rade e Jar’a, e le anteprime del nuovo lavoro Lema, ossia oltre quattro ore di musica, ti spinge a vivere ogni live con un approccio distinto, con grande libertà e definendo sul palco stesso la scaletta. Credo che sia importantissimo per un musicista poter esprimere la sua complessità, senza rinunciare ad assumersi dei rischi. Proporre un repertorio sempre diverso, mantenendo alcuni brani a cui sono particolarmente affezionato, crea una sensazione adrenalinica, che ti porta a vivere con una particolare intensità il momento del live. La reazione del pubblico è stata travolgente: una vera e propria overdose di stima e affetto, con, in più casi, la partecipazione di fan che mi seguono dai primi concerti negli States dagli inizi del 2000. Tutto questo è avvenuto esibendomi in contesti particolarmente gratificanti che, come nel caso del Public Theater di New York, hanno fatto la storia della musica dal vivo degli Stati Uniti. Per quanto riguarda l’America, intesa come società, posso dire che le realtà culturali sono isole felici, sacche di resistenza contrapposte al pensiero dominante, luoghi dove si respira un progressismo in netto contrasto con l’arretratezza culturale a cui sta andando incontro questo paese. Questo non toglie che viaggiando in lungo e largo per questo enorme continente, con l’utilizzo dei mezzi pubblici, ne possa cogliere la sua complessità e le sue contraddizioni. Già nel mese di marzo si capiva quello che ora sta accadendo. È una società profondamente frammentata e divisa tra ricchi e poverissimi, dove il Fentanyl e il post Covid hanno trasformato i centri di diverse metropoli in scenari da film horror. Poi, a distanza di qualche isolato, vedi le Tesla che viaggiano senza autista, automatizzate e integrate in modo surreale con il traffico urbano e con le tende da campeggio montate a bordo strada dove, tra escrementi e resti di cibo, vivono i perdenti di questa società. Questo contrasto estremo tra ricchezza e povertà è il sogno americano, che oggi ritengo un incubo abitato da  finzione e assenza di umanità”.

Lo scorso mese è uscito il nuovo album in solo intitolato “Lema“.

“Credo che dopo trent’anni di concerti da solista, riuscire a innovare il proprio linguaggio sia estremamente complesso. Ma in questo caso, l’arrivo di una nuova chitarra realizzata dalla liuteria Micheluttis di Cremona e da quella Oran Guitar di Andrea Orrù a Lunamatrona, ha creato la condizione per avere una tavolozza di colori nuova, grazie anche alla realizzazione di nuovi prototipi. Il respiro di Lema si sviluppa con due lunghe suite, una per lato del vinile, ed è centrato su quella terra di confine tra il mondo dei vivi e quello dei defunti. Ma Lema è soprattutto rinascita ed è un guardarsi indietro, riprendere il mio linguaggio chitarristico più radicato, per esplorare le nuove derive creative con la stessa curiosità degli esordi. Credo sia un album che sintetizza perfettamente il momento che sto attraversando e che, in qualche modo, in brani come Ramadura, ispirata ai colori e le sonorità che si assaporano nella processione di Sant’Efisio, anticipi lo sviluppo di un prossimo lavoro interamente dedicato alla rilettura della musica sarda in chiave contempo. Il disco è già stato presentato a Lisbona e al Cairo. Il Portogallo è un paese dove da tempo suono ogni anno mentre in Egitto era la prima volta. Proporre la mia musica alla Opera House in un concerto sold out e davanti a un pubblico giovane è stata una grande emozione”.

Da parecchi anni la sua vita artistica si divide tra il mestiere di musicista e il ruolo di direttore artistico del bel festival “Isole che parlano” che dirige a Palau.

“A volte, come nella società, lo sguardo rivolto al passato non permette di far germogliare l’innovazione. Credo che la forza del nostro festival sia intercettare il magma creativo che si respira nelle capitali europee e metterlo in comunicazione con quanto accade nella nostra terra. Isole che Parlano arriva alla ventinovesima edizione. Lo fa ancora una volta pescando da una scena internazionale che non ha ancora espresso la sua poetica nella nostra Isola. Saranno in gran parte prime assolute per la Sardegna e questo ci lusinga, anche perché contemporaneamente cerchiamo il dialogo con le espressioni sia tradizionali che contemporanee della nostra terra. Con Nanni Angeli, con cui curiamo la direzione artistica, cerchiamo di ricreare a cadenza annuale quella magia che si vive nel nostro piccolo festival: l’assenza di grandi nomi avvantaggia il rinnovamento del linguaggio e ci permette di cogliere le intuizioni creative delle nuove generazioni, in grado di immaginare  nuove rotte per esprimere una musica collocata nella realtà contemporanea. Da diversi anni stiamo cercando di disegnare dei programmi con una profonda attenzione rivolta al bacino del mediterraneo e ai paesi dell’est Europa. Crediamo che la forza dei movimenti di innovazione che dai allontanano dal modello anglosassone, dando linfa vitale ai percorsi tradizionali, stia portando alla luce una vera e propria avanguardia europea, che beve dal flamenco, dalle musiche mediorientali, dai ritmi balcanici, dalle tradizioni delle Polonia e dell’Ucraina.  Questa è la musica europea che amiamo e che saranno il cuore del programma del 2025, sospesa tra il post rock di A Bad Day, in grado di trasformare un duo di chitarre in una vera e propria orchestra, le melodie curde in chiave jazzistica  di Elana Sasson, il free jazz Anatolico, l’incontro tra la tradizione andalusa e il punk  di El Perrate + ZA, o, ancora, la sperimentazione vocale e strumentale della  Messicana  Fuensanta, il dialogo con la tradizione dei polacchi e molto altro ancora. Senza naturalmente dimenticare la scena sarda estremamente presente nel programma, arrepicos, Canto a Tenore e a Tasgia, King Of Sheppard“.

La Sardegna è in grado di esportare efficacemente il proprio patrimonio culturale, o tutto è per lo più demandato alle capacità dei singoli artisti?

“La Sardegna non è solo tradizione, è un’Isola che esprime la sua complessità e frammentazione territoriale, con movimenti musicali freschi e coraggiosi,  lo sguardo rivolto al mondo, ec una sintesi di linguaggio al passo dei tempi. Sono realtà profondamente penalizzate da un’incapacità di gestione politica. La Regione Sardegna non si è mai dotata di un piano di sviluppo di esportazione delle sue specificità culturali. Il costo dei viaggi è insostenibile per facilitare la circuitazione di progetti che nascono in Sardegna. L’assenza di una reale continuità porta la musica sarda, in tutte le sue forme e declinazioni stilistiche, a dover fare i conti con il mare, inteso come muro che impedisce la circuitazione nazionale e internazionale. La Sardegna non deve essere solo una terra capace di importare, deve dotarsi di strumenti simili a quelli utilizzati da Puglia e Emilia Romagna per far conoscere nel mondo le nostre specificità culturali e la freschezza delle nuove musiche. Solo accettando la sfida della contemporaneità e, nel contempo, salvaguardano il nostro patrimonio culturale autoctono, possiamo collocare la nostra Isola in un contesto internazionale. Cosa abbiamo di diverso dall’Islanda? Perché quando faccio un concerto a Praga con il Tenore di Orgosolo le domande che arrivano sono se il canto gutturale lo abbiamo imitato dal canto di Tuva e della Mongolia? Eppure sono tipologie musicali protette dall’Unesco. Ribadisco: chi gestisce la cultura nella nostra Isola dovrebbe puntare sul creare un data base di tutti gli artisti che possono manifestare nel mondo la nostra ricchezza e spogliarsi da un complesso di inferiorità che ci porta a essere una terra che ancora oggi non ha la consapevolezza della sua ricchezza culturale”.

Foto di Nanni Angeli

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