Con “La tesina di S.V.”, in libreria da pochi giorni con Il Maestrale, in 296 pagine lo scrittore, drammaturgo e regista sassarese Alberto Capitta entra nell’aula, e non solo, di una quinta liceo che si appresta a concludere il percorso scolastico.
L’esame di maturità è sempre stato ed è motivo di apprensione, ansia e tormenti per la maggior parte di studenti e studentesse. Per buona parte dei docenti esso si riduce talvolta a mansioni ripetitive e tediose come rivedere gli argomenti svolti, organizzare quelli che i maturandi vogliono approfondire e occuparsi della tesina che viene preparata per l’occasione. Così vive la preparazione all’esame dei suoi alunni il professore di questo libro, almeno fino a quando si trova davanti l’ultimo alunno che deve presentare il proprio elaborato.
S.V. attira subito l’attenzione dei compagni e l’interesse del docente, il quale nota immediatamente l’atipicità del testo presentato: scritto a mano e redatto come una sorta di resoconto di esperienze vissute. L’esposizione inizia e ben presto tutti si trovano coinvolti in un racconto alquanto insolito: “Oltre la rete” si intitola la tesina perché tutto ha inizio quando il protagonista, che gioca a calcio con dei compagni, è costretto ad andare a recuperare la palla scaraventata oltre la recinzione del campetto.
Ma la palla sembra magicamente scomparsa e il ragazzo anziché rinunciare alla ricerca si inoltra nel fitto della boscaglia attirato da una forza inspiegabile e si perde in un mondo sconosciuto, un paese delle meraviglie, dove vivrà le avventure oggetto del suo componimento.

Il tanto atteso ritorno alle stampe di Capitta con il sesto romanzo (dopo “Creaturine” del 2004, “Il cielo nevica” del 2007, “Il giardino non esiste” del 2008, “Alberti erranti e naufraghi” del 2013″ e “L’ultima trasfigurazione di Ferdinand” del 2016, tutti pubblicati da Il Maestrale) avviene con una storia nella storia, a onor del vero non del tutto originale (la palla come il Bianconiglio e la rete metallica come lo specchio di Alice), che si sviluppa attraverso diverse voci narranti, del professore, di S.V. e quella esterna “corsiva” che funge da collegamento alle vicende narrate dal ragazzo, occasione di riflessioni che portano a cambi di prospettiva e trasformano il punto di vista sulla realtà e su se stessi.
La tesina è strutturata in tre “Tempi”, che coincidono con tre precisi momenti (ma che sembrano senza tempo) dell’avventura, introdotta da un “Preludio” e conclusa con una “Appendice”. Le altre voci specificano il contesto o aiutano a delineare le vicende a questa principale che, con una precisa scelta editoriale, è l’unica esplicitata nell’indice.
Il vero punto di forza del romanzo è la scrittura. Una scrittura personale, non immediata, con costruzioni sintattiche talvolta difficili da seguire ma che ha un potere particolare, magico: riesce a rendere concreto, quasi materia, il flusso di coscienza attraverso cui si sviluppa la vicenda. Le emozioni e le funzioni biologiche sembrano animarsi, incarnarsi e separarsi da S.V. che solo così sembra conoscere per la prima volta il proprio corpo. Il “disperso”, così, percepirà come se arrivasse dall’esterno il battito del proprio cuore e sentirà l’odore del dolore; avrà come avversari cruenti l’apatia e l’insonnia, ma come compagne la felicità di una nuotata e la spensieratezza del dolce far nulla.
Allo stesso modo la penna dell’autore personifica gli agenti atmosferici e gli elementi della natura rendendoli talvolta antagonisti contro cui combattere tal’altra alleati in quella lotta per la sopravvivenza che è la vita. Ma è la natura l’altra vera protagonista delle peripezie di S.V., anzi la Natura, in tutto il suo splendore e magnificenza, anch’essa personificata e interagente con l’intruso: fiori che si inchinano al suo passaggio, alberi che sussurrano e offrono i loro frutti; uccellini veri e cuciti, rane da compagnia e asini camerieri.
Così anche gli altri umani, comprimari delle avventure, ricevono ritratti dettagliati e precisi dall’autore.
Tutto descritto con linguaggio ora elegiaco e poetico ora colloquiale e spontaneo a seconda del contesto narrato o della situazione vissuta. Il pregio principale di questa scrittura è quello di rendere reale l’irreale e il surreale verosimile o meglio ancora portare chi legge a non distinguere cosa è vero e cosa immaginario o onirico, esattamente ciò che prova S.V., in una perfetta immedesimazione tra lettore e personaggio.
Tante altre sono le suggestioni e le riflessioni che possono emergere con la lettura di questo romanzo che perciò è vivamente consigliata.
Alberto Capitta si conferma, come leggiamo nella motivazione con cui gli è stato attribuito proprio nel mese corrente il Premio Angioni alla Carriera 2023, “personalità straordinaria e tra le più rilevanti della narrativa e del teatro isolano e italiano, Capitta è stato capace di coniugare etica ed estetica della sua poetica, annoverata fra le più alte della Nuova Letteratura sarda”.
Foto di Laura Dessì