C’è il fascino per una vita eterna che chirurgia e cosmesi inseguono senza successo e che il conte Orlok possiede per natura. C’è la paura ancestrale verso l’ignoto, il magico, il soprannaturale. C’è la contemplazione di un dio negativo, dispensatore di vita e morte, che ci atterrisce e forse in qualche strano modo consola. C’è la componente bestiale, che la nostra società rifiuta sistematicamente e che torna preponderante nel principe dei ratti, quasi sensuale. C’è la malinconia angosciosa per una sorte ricevuta e non cercata, la sofferenza per la propria diversità che a volte è piacere ma altre è condanna.
Tutto questo è Nosferatu e tutto questo ha contribuito a rendere la creatura nata dall’immaginario cinematografico di Friedrich Wilhelm Murnau nel 1922, riproposta da Werner Herzog nel 1979 e richiamata da E. Elias Merhige nel 2000, un mito immortale, in ogni senso. Oggi, quel mito torna sul grande schermo tra applausi e polemiche a firma del regista Robert Eggers.
L’attesissimo remake di uno dei più amati classici del cinema espressionista, interpretato dagli esperti come la società borghese che vampirizza il popolo, o come un presagio dell’oppressione nazista, ha suscitato reazioni contrastanti nel pubblico. La pellicola, di altissimo livello per quanto riguarda fotografia, musica, estetica e ricostruzione storica di luoghi e costumi, si è concessa infatti alcune licenze che non tutti hanno gradito. Se è vero che misurarsi con un monumento come Nosferatu è impresa ardua bisogna anche tenere conto che innovare o interpretare alcuni aspetti della storia e della creatura siano necessari per evitare di produrre la mera copia di un prodotto già perfetto.
Forse il regista si è spinto un po’ troppo oltre nell’inserire elementi di occultismo e possessione che non esistono nelle versioni precedenti, così come la scena di sesso tra la protagonista e suo marito, del tutto inverosimile e gratuita per la trama, appaiono più accorgimenti per tarare il film sugli standard delle normali produzioni contemporanee. Non aiuta il doppiaggio italiano che fa perdere di profondità il personaggio del conte e rende piuttosto lagnosa la sua prescelta Ellen, mentre in lingua originale entrambi i timbri sono più sofisticati e coinvolgenti.
In molti si sono interrogati sui folti baffi magiari del conte. Si tratta della scelta di Eggers di unire la figura di Nosferatu a quella di Dracula, rispettando dunque il ritratto di Vlad Tepesh l’impalatore che ispirò la penna di Bram Stoker per il suo romanzo Dracula. Qualche perplessità l’ha suscitata anche la sequenza che vede una donna nuda a cavallo attraversare coi suoi compaesani un cimitero. Questo può riconoscerlo solo chi si è interessato di vampirismo storico: era credenza diffusa in paesi come Moldavia, Slovacchia, Stiria che le vergini e i cavalli bianchi fossero in grado di individuare la tomba dove era sepolto un vampiro, permettendo così ai villaggi minacciati dalla sua oscura sete di sangue di eliminarlo definitivamente con i mezzi divenuti poi tradizionalmente consoni: paletto di legno nel cuore, decapitazione e rogo. Altri hanno storto il naso sulla voracità quasi sessuale insita nel morso che non punta al collo bensì al petto delle vittime. Anche questo elemento si riallaccia alle cronache dei primi attacchi di vampiri o presunti tali registrati in Grecia e in tutta Europa: i vampiri giacevano fisicamente con le vittime, li strangolavano durante l’atto e suggevano il sangue proprio dal petto, Queste concessioni trovano dunque un perché nel fondamento storico del mito, ma per alcuni sono un modo per snaturare il conte rendendolo diverso e irriconoscibile.
“Dracula” di Coppola è forse la pellicola più evidentemente citata tra i tanti omaggi presenti nel “Nosferatu” di Eggers: appare molto evidente nella mutazione del capo di Hutters, impalpabile nei film precedenti, che si trasforma in Renfield, segregato nel manicomio che attende il suo maestro per la propria salvezza. Le atmosfere e il ritmo narrativo ricordano il recente “Demeter, il risveglio di Dracula”, diretto da André Øvredal a cui si avvicina anche per sensibilità e gusto. “Nosferatu”, al netto delle perplessità e degli elementi superflui, può senza dubbio essere degno di far parte della migliore filmografia vampirica e continuare ad attrarci e turbarci come ogni mostro che la nostra mente crea e teme allo stesso tempo.