Siamo di fronte ad un chiaro fenomeno di ostalgia, ma di quelle che possiamo definire futuristiche, dove passato e presente si incontrano quasi per caso oppure per correlazioni sociali e generano il fenomeno che non ti aspetti. Resi famosi nel lontano 2019 grazie all’utilizzo della loro canzone ‘Судно’ da molti adolescenti “dell’est” su Tik Tok, il trio bielorusso ora ritorna alle stampe con ‘Monument’, album che avrebbe potuto essere stato scritto nel 1983, che suona come se fosse del 1983, che mi ha fatto ripensare alla mia vacanza immaginaria questa volta non in Cambogia ma a Pankow, riparato dalla protezione del Patto di Varsavia, con alle spalle piani quinquennali ed edifici composti da metallo e cemento armato giganteschi, quartieri città stato, economia pianificata e l’onore della forza che muove l’acciaio.
Logicamente, quanto citato sopra, è tutto nella mia testa, forse anche nella vostra, e scopriremo anche il perché.
Andiamo quindi con ordine. ‘Monument’ è il terzo album dei ragazzi di Minsk, prosegue il discorso iniziato ormai nel 2017 con ‘S kryš našich domov’ e nel 2018 con ‘Etaži’ partendo subito con il mix di metriche quadratiche e glaciali, synth pomposi e impostazione baritonale che però, in russo, danno quel sapore un retro future sovietico che, se da un lato è una scelta assolutamente legittima e condivisibile (cantare nella propria lingua) ha contribuito a creare un hype intorno alla band che, ne sono sicuro, un cantato in inglese non avrebbe dato assolutamente, relegando la band ad una ennesima post punk sensation della scena internazionale.
Invece in questo modo ci troviamo di fronte ad una proposta che per noi che siamo oltre la cortina di ferro (più forte di me sentirmi tornato a quarant’anni fa) è godibilissima e originale, da pompare dai balconi invece di banali litanie inneggianti all’ ‘andrà tutto bene’ o similia, anche solo per infastidire il vicino di casa
‘Monument’ è così, quindi, un album godibilissimo che richiama in ogni suo frangente un po’ ai Joy Division, a tratti ai new Order (a seconda del mood), ai Depeche Mode, ai Cure, ma anche ai Boytronic e le altre icone Eighties che si rispettano ed è, lasciatemelo dire, proprio quello che il trio bielorusso vuole: suonare bene la musica che ama, riuscendoci appieno, che magari noi conosciamo da decenni, ma, al netto delle vicende sociali politiche del loro paese di origine, deve spingergi ad una riflessione più approfondita su cosa può portare in senso positivo una globalizzazione ed un accesso alle tecnologie sempre più vasto e capillare.
Non stiamo quindi parlando di un capolavoro ma nemmeno un fenomeno vintage da baraccone, i Molchat Doma sono una band validissima che merita il successo e perché no, di contaminarci in maniera positiva.
Chissà se all’epoca della guerra fredda, se qualche visionario avesse potuto immaginarlo, cosa avrebbe pensato o sghignazzatto sotto i baffi.
Niente, ci sono ricascato
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