La musica di Bach è sempre stata fonte di ispirazione per legioni di danzatori e coreografi. L’elenco di nomi che nel tempo sono ricorsi al sommo compositore è lunga: Balanchine, Nureyev, Neumeier, Platel, Duato, Millepied, Cherkaoui, Gat, Guillem, De Keersmaeker, Sieni e tanti altri. A questi si aggiunge quello di Mauro Astolfi, coreografo di vaglia ben conosciuto anche al di là dei nostri confini. Con il Spellbound Contemporary Ballet fondato nel 1994, ritorna in Sardegna ospite del CeDAC per presentare L’arte della fuga (titolo mutuato da una raccolta di composizioni che restò incompiuta per la morte dell’autore), in scena il 13 febbraio al Comunale di Sassari (20.30), il 15 (20.30) e 16 (19.00) al Massimo di Cagliari, con Maria Cossu, Giuliana Mele, Miriam Raffone, Anita Bonavida, Martina Staltari, Filippo Arlenghi, Alessandro Piergentili, Lorenzo Beneventano, Roberto Pontieri. “L’idea dello spettacolo è nato come è nato l’amore per Bach, ovvero da una proiezione forte e immediata in un mondo quasi esoterico che questo geniale compositore ha creato dal punto vista musicale. La sua musica ha la capacità di evocare paesaggi, mondi paralleli, stati d’animo. L’impatto è profondamente spirituale, il suo ascolto è qualcosa che ti spinge anche indirettamente a un percorso introspettivo”, dichiara il coreografo romano al telefono da Vienna, dove si trova in veste di giurato per un concorso coreutico: “Bach ti porta a non limitarti all’estetica, ma ti mette di fronte ad alcuni lati di te stesso”.
Solitamente del repertorio bachiano vengono scelte le Variazioni Goldberg o le Suites per violoncello, lei invece ha puntato sulla Fuga.
“Nella Fuga trovo una sorta di piccolo mondo nascosto, al cui interno c’è un’umanità che ha imparato a sopravvivere celata dietro immense pareti. La fuga come capacità di adattarsi, di essere presente in più posti e in più spazi, il fatto di avere delle dimensioni parallele dove continuare a condurre un’esistenza. Oltre alle musiche di Bach, ci sono dei tessuti sonori creati da Davidson Jaconello”.
Il grande compositore tedesco è stato il precursore della musica improvvisata: ci sono spazi di libertà coreutica nel suo lavoro o è tutto codificato?
“Il lavoro è stato creato in sala. Ovviamente l’elaborazione dei danzatori, quello che poi permette di dare dieci, venti vite diverse all’ideazione del coreografo, diventa un processo di co-creazione dove il lavoro di interiorizzazione, di elaborazione da parte dei danzatori, li porta a dare vita a qualcosa che sta al di sopra di quello che ho pensato. Ogni coreografia ha un processo di innovazione, di recupero, rivisitazione e rielaborazione di quello che c’è stato in passato. Da un punto di vista tecnico e coreografico cerco sempre di andare un po’ oltre rispetto al lavoro precedente, ricercando una serie di soluzioni ed espressioni sulla scena che rappresentano il desiderio di andare avanti”.
L’intelligenza artificiale può offrire nuove possibilità alla creazione coreografica?
“Sto studiando e capendo molte cose, anche se al momento non penso abbia alcun nesso con il processo creativo”.
Le sue pièce sono connotate da una danza astratta: i lavori narrativi non le interessano?
“Per me queste sono solo definizioni. Cerco di lavorare su un processo di creazione che in qualche modo è l’espressione del mio essere al mondo e sulla relazione che ho con questo mondo in quel momento preciso. L’ispirazione può arrivare da qualsiasi cosa. Siamo immersi in un contesto, in una vita in cui gli stimoli sono davvero infiniti”.