L’illustratrice cagliaritana, milanese d’adozione, è tornata in Sardegna per guardare con occhi nuovi allo smisurato patrimonio culturale dell’isola. Tanto studio, ricerca sul territorio e impegno la hanno portata a realizzare opere in grado di raccontare storie, miti e tradizioni senza mai scadere nel folklore, attraverso un design raffinato e originale. Il progetto più recente è un focus sui carnevali tradizionali che trova spazio nel libro “Carrasecare design” edito da Arkadia.
Mara, prima di tornare in Sardegna hai lavorato per una multinazionale a Milano. Ci racconti questa esperienza?
Ho lavorato molti anni per la Disney, ero nel settore pubblishing e editoria ma realizzavo anche copertine per magazine come Topolino. Mi mancava la pittura però, così ho imparato a usare photoshop in maniera più pittorica e questo mi ha permesso di occuparmi di licensing, ovvero declinare il mio disegno su tantissimi prodotti materiali e non solo su carta per molti brand diversi, da Oviesse a Dolce e Gabbana fino a Nestlè. Lavoravo con le properties cioè le storie: in base alle richieste dei committenti dovevo adattare stile e disegno. Insomma alla fine così mi son specializzata nella creazione di file digitali per realizzare prodotti. Quando ho smesso di lavorare per Disney lo ho fatto perché ero un po’ stanca di disegnare con quello stile, avevo in testa l’idea di fare qualcosa di personale, e son tornata in Sardegna, conscia del grande rischio che correvo, ma sentivo che il mio nuovo progetto di vita sarebbe stato accolto.
Ti ha colto una sorta di mal di Sardegna?
In realtà mi ero già spostata in Sardegna con mio marito, quando ancora lavoravo a distanza per Disney. In uno dei miei giri sono capitata a Orani dove ho visto il museo Nivola e tutte quelle bellissime foto che raccontano gli interventi dell’artista nel paese. Acquistai il catalogo al museo e ricordo che la busta recava le grafiche di Eugenio Tavolara. Mi si è aperto un mondo e da questo momento in poi è stato facile scegliere di cambiare per dedicarmi alla creazione di una cosa mia, un nuovo linguaggio del design sardo. Ho iniziato due percorsi, uno è un progetto in collaborazione con altri artigiani, attraverso un tessuto creato in Italia e poi ricamato con i motivi tradizionali. Questo è stato il primo progetto che mi ha consentito di parlare di identità della Sardegna, lo scopo era ed è sempre creare un’emozione. Parallelamente ho detto a me stessa che avrei dovuto creare anche qualcosa che fosse totalmente mia e quindi mi son cimentata con un progetto personale sui carnevali, un progetto di design puro. Son partita dall’abito di Samugheo che mi è sembrato fresco e magico. Mi stupisco della bellezza che abbiamo intorno, tieni conto che manco da sempre dall’isola e che per me dunque è tutto nuovo ed emozionante. Da qui sono andata a cercare maschere e rituali. Tutti hanno un valore e io vorrei riuscire a dimostrare quanto design c’è nel nostro patrimonio culturale.
Per il progetto sui carnevali come ti sei mossa?
Studiare, studiare, studiare ogni dettaglio delle 24 maschere che compongono il concept. Sono argomenti sacri per me, e pertanto ogni mio lavoro è frutto di grande ponderazione. Esigo fonti certe in materie come l’archeologia, ad esempio. Ogni proposta ha alle spalle tantissime ore di ricerca e dialogo diretto con sindaci, esperti e interi comuni a volte, perché per certe realtà la maschera è un elemento veramente identitario e bisogna rispettarne l’essenza.
Nei tuoi lavori ricorre anche la figura femminile.
Per me la donna è un’ispirazione. Nelle incisioni di Tavolara ho visto una stilizzazione della figura femminile e da lì son partita a cercare chi, in tempi più recenti, stava facendo un lavoro artistico in questa direzione. Non parlo solo dell’abito ma proprio di ogni dettaglio dell’universo femminile: il pane, i gioielli, la cultura di Ozieri e la dea madre. Da lei parte ogni cosa.
Hai interpretato in chiave contemporanea molta arte tradizionale.
Senza bisogno di inventare nulla, abbiamo già tutto intorno a noi. Il mio primo esperimento sul campo qui è stato intervenire sui cubi di cemento di via Roma a Cagliari, quelli messi a protezione dei materiali per l’infrastruttura della metropolitana. Sapevo che si trattava di un lavoro effimero ma sono fiera che la città lo abbia capito e apprezzato, non ho avuto nessun atto vandalico e ne sono felice. Il lavoro è stato un mio gesto spontaneo, ho proposto attraverso i social di poter usare questi blocchi, il direttore dell’Arst mi ha autorizzato, il comune di Cagliari mi ha regalato il suolo pubblico, il materiale lo ho messo a disposizione io stessa.
Come descriveresti il tuo design?
Nel mio stile ci son elementi che convergono da più mondi: stilemi della tradizione, ma anche derivati dalla mia esperienza per Disney e dal mio amore per la pittura. Il mio è un lavoro pittorico con effetto bidimensionalità, il dinamismo è dato dall’alternanza di pieni e vuoti, di parti piane e decorate, deve essere elegante. C’è un grande studio dell’equilibrio tra le parti, son cose che mi porto dietro dall’Accademia di Belle Arti e che sono parte integrante di me.