Grande livellatore di differenze, lo sport è veicolo neanche troppo silente della richiesta di progresso e cambiamento. Dal recente secco rifiuto delle atlete della nazionale norvegese di pallamano di indossare agli Europei scomodi mini shorts solo per compiacere il pubblico nel 2021, al significativo trionfo dello statunitense nero Jesse Owens nelle Olimpiadi del 1936 volute da Adolf Hitler, come teatro della celebrazione della superiorità ariana. Possiamo immaginare con sottile piacere il disappunto di Adolf. C’è poi il caso emblematico di Tommie Smith e John Carlos, che alle Olimpiadi del 1968 festeggiarono alzando il pugno chiuso per dimostrare solidarietà con le battaglie per i diritti degli afroamericani.
La visibilità si accompagna spesso all’attivismo, anche se discreto. Questo è il caso della nazionale di volley femminile turca, vincitrice degli ultimi campionati europei e grande protagonista sia a livello agonistico che morale. Allenate dall’italiano Daniele Santarelli, le atlete hanno compiuto un’impresa notevole che trascende lo sport per diventare un simbolo. Hanno anche un soprannome: le sultane della rete.
Dopo il recente e tragico terremoto che ha visto tremare la Turchia questa squadra, molto unita, è diventata icona di rivalsa, coinvolgendo la comunità. Una squadra che si è sempre moderatamente dichiarata favorevole all’area progressista, come ha dichiarato Zehra Gunes, tra le centrali più forti al mondo, propendendo per l’ala progressista in linea con i principi di laicismo di Atatürk, considerato il padre fondatore della Turchia moderna, in contrasto quindi con le posizioni più conservatrici.
La capitana Eda Erdem, 35 anni, non solo dimostra che si può mantenere un alto profilo sportivo anche superata una certa età, ma è stata chiamata a colloquio telefonico dal presidente Erdogan, che le ha manifestato il suo orgoglio nel vedere una Turchia così unita e vincente. La stessa Eda Erdem qualche anno fa interruppe una partita per avvicinarsi alla sua curva e chiedere di essere corretti nel tifo e non insultare gli avversari. L’immagine di questa donna gentile ma determinata che dice “Siate rispettosi con i nostri avversari” è una grande lezione.
In qualche modo dunque il governo sembra riconoscere un ruolo cardine alla squadra in grado di ispirare tantissime persone. Le iscrizioni di bambine al volley sono triplicate da quando questa nazionale ha cominciato a scendere in campo portando valori come il rispetto, la correttezza e lo spirito di sacrificio e condivisione necessari per la vittoria. E questa attenzione enorme, specialmente a Istanbul dove sono considerate delle vere star e vantano migliaia e migliaia di follower sui social, offre alle donne un esempio importante di emancipazione. Partecipare al rito collettivo del tifo per una squadra così progressista le fa sentire parte di un lento, ma inesorabile, cambiamento in atto.
Ebrar Karakurt, uno dei terminali di attacco della nazionale, si è recentemente difesa da insulti omofobi sui social, denunciando chi l’ha aggredita verbalmente per avere postato una fotografia che la ritrae insieme ad un’altra donna che le posa la testa sulla spalla. Melissa Vargas, cubana di nascita nazionalizzata turca, gioca, come le compagne col capo scoperto, il corpo ricoperto di tatuaggi e i capelli colorati, come prima di lei la stessa Karakurt e Meryem Boz che da sempre sfoggiano tinte che variano dal fucsia al blu mare.
Possono sembrare gesti piccoli ma non lo sono.
E pensare che solo pochi anni fa invece, nel 2019, la nazionale di calcio maschile turca aveva fatto il saluto militare durante l’inno. Sembra passato tanto tempo, per fortuna, da quella visione rigida e inquadrata e come è giusto che sia, queste ragazze consapevoli dell’importanza della libertà in loro possesso guardano all’autonomia delle altre donne, combattendo in un campo che è in realtà ben più grande di quello dove si gioca a volley, coperto di linee che segnano i confini.