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ARCHIVIO. L’anarchico che tornò dall’America. La vicenda umana e politica di Michele Schirru è quasi totalmente ignorata dai suoi conterranei sardi

Di Maurizio Pretta
29/05/2024
in Comunicazione e società, Cultura, Libri, Storia
Tempo di lettura: 4 minuti
ARCHIVIO. L’anarchico che tornò dall’America. La vicenda umana e politica di Michele Schirru è quasi totalmente ignorata dai suoi conterranei sardi

(Articolo del 10 giugno 2022)

“Viva l’anarchia, viva la libertà, abbasso il fascismo“! Sono queste le ultime parole che un condannato a morte dal Tribunale Speciale grida in faccia alle 24 camicie nere del plotone d’esecuzione schierato nel piazzale di Forte di Casale Braschi, nel quartiere Trionfale di Roma. Sono le 4 e 27 del mattino di venerdì 29 maggio 1931, quando la scarica dei moschetti rende istantaneamente cadavere Michele Schirru da Padria, colpevole di aver solamente pensato di uccidere Benito Mussolini. Sono passati oltre novant’anni dal triste epilogo di questa vita avventurosa sacrificata in nome della libertà, eppure, questa storia anche in Sardegna è ancora sconosciuta ai più.

Sarebbe superfluo tracciare un profilo biografico di Michele Schirru. Ci hanno già pensato Peppino Fiori, il primo a farlo distesamente, Giuseppe Galzerano con la sua monumentale opera e in tempi recenti, Massimo Lunardelli. Volumi preziosi per chiunque voglia conoscere la figura di questo giovane ribelle sardo, che aveva cercato fortuna a New York e condiviso i suoi ideali libertari con altri emigrati sardi e italiani attraverso una militanza attiva nel gruppo creato attorno alla rivista ‘Cronaca Sovversiva‘ e in seguito all ‘Adunata dei Refrattari” dirette da Costantino Zonchello di Sedilo

“L’adunata dei refrattari’ continuerà ad uscire, perché il suo compito non è esaurito. Continuerà intrepida, implacata contro i mistificatori della vita, come contro i malversatori e gli appropriatori del patrimonio comune a tutti gli uomini”. Leggi anche Costantino Zonchello e gli anarchici d’America

I libri di questi autori hanno l’encomiabile merito di aver salvato questa importante vicenda dall’oblio, tenendo viva la memoria di un uomo che voleva cambiare il corso della storia italiana ma che ebbe la sfortuna di non riuscirci con l’ aggiunta della clamorosa beffa di pagare con la vita la grave colpa di averci solamente pensato – senza tuttavia mai neppure tentarci, come riportano alcune penne troppo disinvolte- diventando uno dei più eloquenti casi dell’obbrobriosità giuridica del sistema penale fascista.

Questo non è bastato affinché le genti della sua isola si ricordassero di lui. La maggior parte di essi ignora la sua vicenda. Non è bastata neppure la canzone dei Kenze Neke ( in sardo siniscolese “senza colpa”) che sul far degli anni Novanta, avevano provato a stimolare le coscienze dei giovani sardi dedicando idealmente il loro lavoro all’anarchico di Padria morto da innocente sotto il piombo del plotone comandato da Tornari. D’altra parte sono pochissimi i comuni che portano una via col suo nome. Per il resto, non una biblioteca, un’associazione, una scuola o un astro che lo ricordino. Forse perché nei vari livelli istituzionale si ragiona ancora come ai vecchi tempi, quando dietro ogni anarchico si intravvedeva un bombarolo, un terrorista o un regicida, e sarebbe stato pericoloso e sconveniente far conoscere ai giovani studenti la storia e le idee di chi predicava contro i fascisti di Mussolini, ma anche contro le “giberne” di Stalin.

Troppo scomodo, anche a fascismo crollato e a distanza di decenni ricordare figure del genere? Eppure quel giovane trentenne dagli “azzurri occhi scintillanti e traboccanti di lacrime e di vampe”, che confessava a mezza voce alla compagnia Virgilia D’Andrea, che era arrivata l’ora dell’eroismo, del sacrificio di qualcuno che sapesse affrontare la morte e che avesse sprezzo per la vita, avrebbe potuto, con un poco di fortuna in più, cambiare le sorti della storia del mondo. Esitò troppo? Si, certo. Non perdendosi dietro le calze velate di una ballerina ungherese, ma soltanto perché voleva evitare di ammazzare persone innocenti in modo che anche sui suoi compagni non ricadesse tale infamia, come accadde dopo l‘attentato al teatro Diana di Milano nel 1921. O è forse proprio questo che non si perdona a Michele Schirru? L’aver fallito. Anche una lettura in tal senso sarebbe alquanto ingenerosa, perché assieme a pochi altri, questo giovane sardo, ha sacrificato la sua stessa esistenza in nome di una libertà vera, senza compromessi col potere, nella quale credeva ciecamente e soltanto per questo non meriterebbe il semi-oblio al quale è stato condannato dalla sua stessa gente, pagando ulteriormente la colpa di essere morto per nulla e per giunta, senza colpa.

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