Forse ha ragione Roberto Cotroneo, quando scrive che per un libro come il suo ‘La nebbia e il fuoco’ (Feltrinelli, aprile 2025) “fino a poco tempo fa non ci
sarebbe stato molto spazio.” Eppure, proprio oggi che i volumi pubblicati sono centinaia di migliaia ogni anno, le 144 pagine di questo “pastiche, saggio,
romanzo, racconto breve, vero e inventato. Storia di documenti, e storia di sogni”, appaiono più che mai preziose.
È l’ottobre del 1975, lo scrittore alessandrino è uno studente al primo anno di liceo e nella sua vita compare un cortese e formale professore d’inglese destinato a lasciare un segno profondo. Si chiama Aldo, non ne conosceremo il cognome, è un fine intellettuale appassionato di letteratura. Si dice che durante la Resistenza sia stato arruolato nelle brigate partigiane di Giustizia e Libertà, ma di quell’esperienza Aldo non parlerà mai con i suoi alunni. Trascorrono più di quarant’anni da quell’incontro, e durante un breve soggiorno dell’autore nella città natale, che ormai ha lasciato da molto tempo, sono le poche parole di un vecchio amico a far riaffiorare in lui il ricordo dell’insegnante, e a lasciargli in dote le domande sulle quali prenderà forma il libro: Aldo era davvero uno dei tre gappisti che il 13 dicembre del 1943 parteciparono all’agguato di piazza Biffi ad Alessandria, in cui venne ucciso un tenente colonnello dell’esercito repubblicano?

L’uomo mite e sempre misurato che lui ricorda, all’epoca non ancora ventenne, sarebbe stato capace di un gesto simile, mosso dal fervore che animava quei giorni e dal desiderio di libertà? Il professore è morto nel 2002 e per Cotroneo inizia da qui non un’indagine vera e propria, bensì un intimo itinerario nella memoria. Tra reticenze, domande mai poste e lettere mai scritte – per pudore, paura, o semplicemente per l’inerzia che spesso ci porta a transitare oltre i fatti e le parole, oltre le persone e i rapporti, confidando in un domani nel quale potremo porre rimedio – riemergono episodi a lungo dimenticati o marginalizzati che adesso assumono un nuovo significato.
A fare da sfondo, una Alessandria indolente, incapace di dare voce a passioni e sentimenti, disposta a cancellare le tracce del proprio passato pur di non dovercisi confrontare, se non sminuendone la portata o depotenziandolo con l’ironia. La città che Cotroneo tratteggia, con la vicinanza privilegiata di chi se n’è allontanato, dandole corpo fino a farne uno dei protagonisti del racconto, è diffidente e grigia. Un grigio che dal cielo si riverbera per le strade, sui muri delle case, persino nella maglia della squadra di calcio locale, arrivando a impregnare gli animi dei suoi abitanti.
Ma Cotroneo conosce l’arte della fotografia (è sua la foto che accompagna questo articolo), e sa bene che proprio sul grigio viene calibrata l’intera gamma cromatica di uno scatto. Allo stesso modo, grazie alla forza della letteratura, quel luogo peculiare diviene il paradigma di quanto ci sia di irrisolto in ogni individuo, e nel rapporto di un’intera nazione con uno dei momenti capitali della propria storia.
‘La nebbia e il fuoco’ è un libro nel quale si parla anche della Resistenza, quella “che imparò soprattutto dalle sconfitte, vittima di errori e vittorie, dubbi e atti di coraggio, fallimenti e segreti, dolorosa e necessaria”; che ha inferto ferite difficili da sanare anche in chi si è schierato dalla parte giusta.
Ma non è un libro sulla Resistenza. Nel ripercorrere la propria vita in cerca delle tracce lasciate da Aldo, in un succedersi di citazioni letterarie, frammenti
di incontri e passaggi significativi del suo percorso personale e professionale, lo scrittore ci propone un’intensa riflessione sul valore del tempo, sul peso
della memoria e il potere della parola: “La letteratura era la chiave di volta per imparare a leggere le cose del mondo, come scriveva Borges, tutte le cose del
mondo portano a una citazione o a un libro”.