Cosa accadrebbe se una montagna potesse raccontarsi? ‘Annìle. Ovvero falsa fiaba della montagna di ferro’ di Edoardo Mantega, dà voce al Montiferru, terra antica, bruciata e viva, attraverso un linguaggio che mescola fiaba, memoria e poesia. Presentato come un diario ritrovato in un casolare di pietra lavica adibito a recinto per agnelli, chiamato annìle in sardo, il libro assume la forma di un monologo viscerale e visionario, in bilico tra antropologia e immaginario.
Romanzo d’esordio dell’oristanese (cagliaritano d’azione) Edoardo Mantega, con cui ha vinto la 18esima edizione del Premio Gramsci, già vincitore del premio Salvatore Mannuzzu (Premio Letterario Città di Sassari) con il racconto lungo ‘La promessa di esserci’, con questa nuova opera pubblicata nel 2025 con Edizioni Il Maestrale ha già attirato l’attenzione di un nutrito pubblico.
Una voce antica, una bambina moderna
Il protagonista è Annìle, figura sfuggente e metamorfica: forse un umano, forse una volpe, forse un’idea. O, più semplicemente, la montagna stessa che, una volta assunte sembianze umane, parla. Accanto a lui/lei c’è Maddalena, una bambina curiosa e silenziosa che diventa maestra di parole e futuro della narrazione.

Il rapporto tra i due è tenero ma originale, una sorta di educazione sentimentale al contrario, dove è la natura a imparare dagli esseri umani.
Tra fuoco e New Wave
Il libro si muove lungo le quattro stagioni e alterna momenti lirici a immagini durissime; mentre il Montiferru brucia per davvero in una Sardegna ferita, Annìle balla la New Wave come atto di sopravvivenza, mentre oltremare la vita continua a scorrere. Il corpo di Annìle, si dissolve nelle fiamme di incendi, improvvisi e implacabili.
Annìle era uno che aveva perso. Uno sopraffatto da accadimenti più grossi di lui o semplicemente alla violenza degli uomini e delle loro vicende.
Questo romanzo sembra riscrivere il patto tra uomo e natura, parlando al collettivo e stimolando riflessioni. La scrittura di Mantega è colta ma agevole, densa ma allo stesso tempo fluida.
Il libro nasce dalle ceneri del Montiferru, devastato dal terribile incendio nell’estate del 2021. L’autore stesso ha dichiarato: “Tutto nasce dalla fine, si potrebbe dire: è l’estate del 2021, il Montiferru brucia e così brucia una parte della mia vita. L’infanzia, l’adolescenza e la prima età adulta”.
Questa tragedia ambientale ha ispirato Mantega a dare voce alla montagna, trasformandola in un personaggio che racconta la propria storia e quella delle comunità che l’hanno abitata; un’opera che fonde poesia, memoria e ambientazioni dove sia facile riconoscersi e identificarsi, offrendo una riflessione profonda sulla relazione tra uomo e natura. Attraverso una narrazione simbolica, il lettore è invitato ad ascoltare le voci della terra e a riconoscere le storie che custodisce. Un romanzo che, partendo da una tragedia reale, riesce a trasformare il dolore in arte e a dare nuova vita a una montagna ferita.
Il romanzo, appartenente a quel filone chiamato eco-letteratura immaginifica, si colloca in modo piuttosto originale nel panorama editoriale italiano contemporaneo in considerazione del genere fiabesco utilizzato e per la sua reinvenzione. Fin da subito viene infatti definito una fiaba “falsa”, consapevolmente ambigua e a tratti oscura. Non c’è un lieto fine garantito, né una morale esplicita: c’è piuttosto una tensione continua tra mito, natura, e disincanto.