Ora è ufficiale: la Sardegna potrebbe ospitare il grandioso Einstein Telescope, rilevatore di onde gravitazionali di terza generazione che potrà regalarci scoperte incredibili e novità inaspettate sull’universo. Martedì 6 giugno la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il ministro degli Affari esteri Antonio Tajani, la ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini e quella del Lavoro e Politiche sociali Maria Elvira Calderone, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e il presidente della Regione Sardegna Christian Solinas hanno presentato la candidatura all’Istituto nazionale di astrofisica a Roma. Con loro Giorgio Parisi, fisico romano premiato con il Nobel nel 2021.
Secondo il progetto, coordinato scientificamente dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare in collaborazione con enti di Ricerca e Università di tutta Europa, il telescopio potrà essere ospitato a Lula nella miniera di Sos Enattos, sfruttata fino al 1996 nell’estrazione di metalli e oggi sito di archeologia industriale. Secondo uno studio italiano pubblicato tre anni fa sulla rivista Seismological Research Letters è uno dei luoghi più silenziosi della terra: per questo motivo potrebbe essere lo spazio ideale per l’Einstein Telescope, strumento tecnologico avanzatissimo capace di catturare anche le più remote onde gravitazionali. L’ET in Sardegna non ha solo obiettivi scientifici ma porterà lavoro e un forte impatto economico: per la sua costruzione si stimano oltre 36 mila occupati, con una crescita di oltre due miliardi di euro sul Pil. La sfida dunque è iniziata: Lula e la Sardegna concorrono con un altro sito, la regione Mosa-Reno tra Paesi-Bassi, Belgio e Germania, per accogliere una delle infrastrutture più sensibili e sofisticate del pianeta.
Ma a cosa serve, come funziona, che effetti avrà sulla ricerca scientifica? E soprattutto come un progetto simile potrebbe interessare il quotidiano delle persone? Ne abbiamo parlato con Matteo Serra, fisico cagliaritano che negli ultimi anni ha dedicato tempo ed energie alla divulgazione della fisica e della scienza (qui l’articolo di Maria Carrozza sul suo libro “Dove va la fisica?”).
Gli abbiamo chiesto di spiegarci in maniera semplice a cosa servirà l’Einstein Telescope.
“Negli ultimi anni abbiamo conosciuto una grande novità nell’astronomia: l’osservazione delle onde gravitazionali, increspature dello spazio tempo generate da eventi astrofisici molto violenti come la fusione tra buchi neri o la fusione tra stelle di neutroni, che attraversano l’universo e raggiungono la terra dopo aver viaggiato anche milioni di anni. Le onde gravitazionali sono debolissime, per osservarle servono dunque strumenti estremamente sensibili. E infatti sono passati cent’anni da quando Albert Einstein le teorizzò per la prima volta, nel 1916, fino al 2015 quando l’osservatore americano Ligo registrò la prima osservazione diretta di onde gravitazionali. Oggi abbiamo osservato grazie a Ligo e all’altro rilevatore Virgo, che si trova in Toscana, un centinaio di onde prodotte principalmente dalla fusione di buchi neri: questi strumenti hanno aperto una nuova finestra sull’universo. L’Einstein Telescope è la versione ancora più avanzata e sensibile degli strumenti costruiti finora, con una sensbilità almeno dieci volte superiore, che si tradurrà nella possibilità di osservare un volume di cielo mille volte maggiore: se Ligo e Virgo hanno registrato un centinaio di fenomeni, pensiamo di vedere centinaia di migliaia di eventi all’anno. Potremo osservare onde oggi del tutto inaccessibili e lontanissime, scopriremo cose sull’universo oggi inimmaginabili, torneremo indietro quasi fino al Big Bang”.
Come funziona?
“Gli strumenti attuali usano i cosiddetti interferometri, grandi tubi posizionati a L lunghi un chilometro e mezzo all’interno dei quali passa una luce laser. Quando viene intercettata un’onda gravitazionale il percorso del laser si modifica, e questa modifica viene misurata e trasformata in informazioni sul fenomeno che l’ha prodotta. Sono variazioni del percorso della luce impercettibili, con dimensioni più piccole del raggio di un protone. Nel progetto di Einstein Telescope non c’è un tubo a L ma tre tubi sistemati a forma di triangolo per una lunghezza di 10 chilometri ciascuno, quindi dieci volte più grande degli interferometri conosciuti finora. Il sito che sarà selezionato tra i due candidati, Lula e la regione del Mosa-Reno, ospiterà questa grande struttura”.
Come sarà scelto il luogo giusto?
“Dovrà soddisfare caratteristiche scientifiche precise e mettere d’accordo la comunità internazionale, inoltre il paese ospitante dovrà finanziarne la costruzione con un miliardo di euro. Potrebbe non essere un sito solo: ultimamente si sta valutando di realizzare Einstein Telescope nelle due sedi candidate, che restituiranno due osservazioni da due punti di vista diversi, quindi risultati ancora più precisi. ET potrebbe essere dunque a Sos Enattos ma anche nell’altra regione candidata”.
Cosa scopriremo?
“Grazie a ET potremo ricostruire quasi interamente la popolazione dei buchi neri, riusciremo a conoscere eventi accaduti ai primordi dell’universo e onde gravitazionali che hanno percorso miliardi di anni luce, avremo la capacità di spingerci veramente indietro nel passato cosmico. Non solo buchi neri: potremo osservare il fenomeno della fusione tra stelle di neutroni, oggetti molto densi che restituiranno informazioni ancora diverse. E poi potranno arrivare scoperte inaspettate, segnali che inizialmente non verranno compresi ma che un giorno saremo in grado di interpretare. Attualmente conosciamo il 5% dell’universo, il resto è materia oscura ed energia oscura, il nuovo telescopio potrebbe aiutarci a conoscere quel 95% oggi ignoto”.
Al di là delle conoscenze di astrofisica, che effetti potrebbe avere la ricerca con ET sul nostro quotidiano?
“Gli esperimenti sviluppati per osservare le onde gravitazionali hanno bisogno di tecnologia ad altissimo livello che può essere sfruttata in altri campi. Ad esempio Ligo e Virgo usano sensori sismici estremamente sofisticati, gli stessi che potrebbero essere applicati nel monitoraggio dei terremoti. E poi è vero che oggi questi strumenti potrebbero sembrare inutili nella vita quotidiana delle persone, ma non si può escludere che domani troveremo applicazioni pratiche. Cent’anni dopo Einstein, usiamo la sua teoria della relatività per i nostri navigatori satellitari. Quello che ci aspetta con queste osservazioni è inimmaginabile”.
(Nell’immagine in evidenza il sito di Sos Enattos, da www.einstein-telescope.it)