Non si può non riconoscersi nelle molte vie narrative del nuovo spettacolo della compagnia cagliaritana Batisfera, composta da Valentina Fadda e Angelo Troffa, con la collaborazione di Michela Atzeni. Non si può non trovare un pezzetto della propria storia nel dramma che si consuma in una scena, atipica, una tavolata tra amici, elegantissima, nello spazio Aula 6, in via Guglielmo Marconi 319, a Quartu Sant’Elena.
“Io Pierrot, lui Superman” è il titolo dell’ultima fatica di Batisfera, compagnia fondata nel 2008 che si dedica al teatro indipendente, con produzioni tra l’ironico e il tragico sempre estremamente curate. Domenica 9 febbraio (doppia replica, alle 17 e alle 19) l’ultima possibilità per assistere a una performance in cui non si può che restare coinvolti.
Otto sconosciuti ad una tavola imbandita, un attore/danzatore, una cameriera, una narratrice. Il racconto di un episodio di vita che viaggia sul filo del rasoio, toccando tasti dolenti, a volte strappando sorrisi. L’analisi impietosa arriva presto: dall’ossessione per un corpo perfetto, per un mondo perfetto, per una gioia perfetta, che non esistono, si scivola in quell’immaginazione che si confonde con l’alienazione, finendo per perdersi.
Sarebbe bello se potessimo fermare lo scorrere del tempo, evitare incidenti e dolori per goderci semplicemente una cena. Ma la vita si intromette fra il nostro desiderio di perfezione e la realtà che ci vede fallati, rotti, non funzionanti, a volte fin dalla nascita. E allora il tema del disagio mentale, del fine vita, della necessità di trovare un modo per liberarsi dal male diventano preponderanti e, negli occhi degli astanti e della narratrice Valentina Fadda, leggiamo la stanchezza di un corpo e uno spirito allo stremo. È come se una porta si fosse aperta, lasciando entrare tutte le ombre e permettendo loro di insinuarsi nelle nostre teste.
Non funzionare in una società che alza continuamente l’asticella, che misura il valore delle persone in base alla loro produttività, che a parole include ma che, una volta chiusa la porta di casa, ti lascia solo, in balia dei tuoi fallimenti, è un incubo che riguarda tutti. Viviamo un’epoca dove anche le persone subiscono una sorta di obsolescenza programmata se non rispondono agli standard stabiliti. Stabiliti da chi poi? Chi può permettersi di ritenerci inadeguati?
I movimenti armonici o spasmodici di Alessio Rundeddu, i suoi vocalizzi inquietanti contrapposti all’ostinato silenzio di Valentina Puddu descrivono perfettamente la dicotomia in seno a questa pièce. Le scene e i costumi, curati dal designer Filippo Grandulli, caricano d’attesa e aspettative. Tutto è studiato per creare un contrasto emotivamente devastante, in bilico tra la speranza di una cosa bella in arrivo e la resa nel vedere sciupata questa speranza.
Ribaltando la prospettiva c’è la lettura di un mondo interiore, che nella sua follia a volte lucida a volte delirante, crea luoghi, storie, stanze, oggetti e persone a cui appigliarsi per tenersi in saldo.
“Io Pierrot, lui Superman” è un collage di esperienze, memorie che riteniamo appartenere agli autori quanto a tutti noi che assistiamo allo svolgersi di una sera che voleva essere speciale ma che potrebbe rivelarsi come tante altre, faticosa e disperata, perché non abbiamo alcun controllo.
E tra i tanti “non si può” presenti in questa recensione, se ne aggiunge uno: non si può che uscire pieni di dubbi, di sensazioni contrastanti, di silenzi carichi di pensiero. Quello che emerge, forse, è che comunque la nostra esistenza sia in ogni caso una danza a cui vale la pena abbandonarsi.