La Città di Notte nasce dalla comune passione di Diego Pani (voce, armonica), Andrea Schirru (piano), Edoardo Meledina (contrabbasso) e Frank Stara (batteria) per un elegante cocktail che mescola in una ricetta perfetta blues, cool jazz, swing italiano, cantautorato, musica afroamericana. Il quartetto sardo, formato da componenti di altri progetti musicali interessanti (King Howl, Dancefloor Stompers, Stone Seeds) ha appena dato alla luce l’album d’esordio, composto da undici brani e preceduto dall’uscita di due singoli, “Sconfitta” e “Buscaglione”, e di un video, “Belzebù”.
Sono storie in musica quelle che la band propone, intrise del fascino nero dei piccoli club fumosi dove personaggi notturni, inusuali, maledetti, si raccontano e si lasciano consumare tra un drink, un ballo e una mano di black jack. Una celebrazione del buio non solo nel fascinoso nome del gruppo ma nella scelta narrativa e nelle icone di riferimento che vivono all’ombra della società. Donne fatali, tipacci, amici sfortunati, inguaribili romantici sono i protagonisti di questi brani con le loro esistenze cariche di dramma e al limite.
In pieno contrasto con queste atmosfere dense e tese c’è da parte della band la ricerca della sensazione contemplativa del silenzio avvolgente che solo le strade a tarda notte regalano. Si alternano quindi momenti di ritmo indiavolato ad aperture del suono con un piano meditativo e la voce che si fa più morbida. Musica e idee in controtendenza che oppongono al chiassoso mainstream quotidiano un viaggio colto e raffinato che abbraccia la tradizione musicale americana e italiana senza seguirne fedelmente gli schemi, ma creando un prodotto originale e ben equilibrato e promuovendo un immaginario visivo tanto retrò quanto contemporaneo. Ai brani originali del disco si aggiungono due tributi che arrivano d’oltreoceano: il country blues “190-26” e l’appassionato “Gospel della fine del mondo”.
Abbiamo rivolto al cantante Diego Pani qualche domanda per conoscere meglio la Città di Notte
Musica e immagini in controtendenza per voi: non vi riconoscete nel panorama attuale italiano?
Se per panorama attuale intendi quello mainstream, sicuramente la nostra musica è fuori tempo massimo. Siamo dei romantici senza speranza, attaccati ad una idea di musica démodé legata ad un particolare contesto culturale e storico, il periodo che va dal dopoguerra agli anni ’70. La musica e la letteratura di quel mondo presenta delle precise sfumature coloristiche che usiamo per raccontare le storie della città di notte.
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La musica è specchio della società che la produce?
Mi piace pensare alla musica come qualcosa di legato a micro-mondi socio-culturali, che si incontrano (e spesso si scontrano) anche dentro una stessa società. Noi possiamo far parte non solo di uno di questi mondi, ma immergerci in linguaggi e culture musicali diverse ogni volta, apprezzandone il valore simbolico e significativo. La musica aiuta a definire la nostra visione del mondo, e può farlo a diversi livelli. Per questo, non penso ad un’idea univoca di società, ma ad un concetto plurale di musiche e culture diverse, di differenza e ricchezza espressiva.
Diego, sei un etnomusicologo: hai fatto da bar tender per miscelare così bene le vostre influenze?
Personalmente, mi sono lasciato trasportare da una personale visione stilistica legata a particolari musiche a cui sono molto legato, ma così hanno fatto i miei compagni di band. Ci siamo confrontati, abbiamo parlato di melodie, tempi, timbri, temi per ore, e ci siamo scambiati un sacco di musica per influenzarci a vicenda. Questa è una cosa che facciamo ancora, ma pubblicamente. Da mesi, curiamo una playlist Spotify che si chiama LCDN Radio: ogni lunedì uno di noi sceglie un brano che aggiungiamo a questa playlist collaborativa dove si mescolano le diverse influenze che animano i suoni e le parole de La Città di Notte. Potete ascoltare la playlist (e seguirla, se vi va) su questo link.
L’etnomusicologia, invece, mi aiuta a vivere l’esperienza di questa nuova band con grande curiosità. Mi aiuta ad inquadrare e meglio comprendere le scelte compositive dei miei colleghi e dei nostri produttori, ad apprezzarne il grande estro musicale, a vivere questa esperienza come una avventura conoscitiva, quasi una ricerca sul campo. Adoro la pratica etnomusicologica proprio perché mi fornisce sempre delle “lenti” entro cui apprezzare, comprendere e interpretare la musica intorno a me.
(foto di Ernst Melis)
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