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La Città del Peccato (veniale)

Di Agostina Urpi
11/12/2020
in Comunicazione e società, Cultura, il luogo comune, Rubriche
Tempo di lettura: 4 minuti
La Città del Peccato (veniale)

Un viaggio a Las Vegas.

Quando ne ho informato gli amici ho assistito a strabuzzamenti d’occhi, entusiasmo, citazioni famose – più o meno – raccomandazioni come se si stessero per aprire le porte degli Inferi (o del Paradiso, a seconda dell’interlocutore). Ma, denominatore comune, era sempre un: “vedrai, quello sì che è un altro mondo”.

Il mito di Las Vegas si fonda su una quantità di luci e paradossi che effettivamente, per il solo fatto di mettere insieme un’enorme varietà di elementi da demitizzare, merita un posto in questa rubrica.

Le innumerevoli pellicole cinematografiche che vengono ambientate nella famigerata Sin City si pongono l’obiettivo, proprio attraverso la scelta di questa location, di enfatizzare situazioni che vengono ritenute la normalità. Quindi, lo sfavillio di hotel tematici, i casinò forieri di fortunate vincite economiche per il solo fatto di aver soffiato su una coppia di dadi, le limousines che sfrecciano sull’asfalto con giovani e bellissimi, oltre che ricchissimi, promessi sposi che confidano in un’ultima folle notte prima di convolare a nozze, sosia sputati di Elvis Presley che ti attendono ad ogni angolo di strada (e tra i quali si nasconde in bella vista l’unico e il solo originale), devono essere immancabili.

Ed effettivamente non mancano. 

Certo, quello che non ti aspetti è che tutto questo, e anche molto altro, sia concentrato in un’unica strada a dieci corsie, a doppio senso di marcia, costellata di semafori e lunga circa sei chilometri.

Qualunque deviazione dalla rettissima linea rappresentata dalla Strip comporta cambi di immagine notevoli.

Nelle retrovie non mancano gli hotel, anche se a volte sono dei container o delle roulottes, pur sempre con insegna, zerbino e possibilità di pernottamento tramite booking (questi su ‘CSI LV’ non li abbiamo mai visti).

I sosia di Elvis The Pelvis sono frequentemente abbigliati con collant contenitivi, pancere che sbucano dai pantaloni sfrangiati male allacciati e con dei ciuffi molto ben acconciati sul davanti, ma fantasiosi riporti fermati da forcine sulla nuca. A volte cantano su una base registrata, a volte il playback viene in loro aiuto. E tu sorridi, allunghi una moneta e capisci che ti consigliano di visitare la città preferibilmente la sera non solo perché le luci sono più abbaglianti, ma forse perché i ritocchi sono più camuffabili.

Certo, al casinò bisogna provare, e così ci si avventura in uno dei tantissimi, scegliendolo magari solo in base all’estetica, oppure all’ispirazione del momento che viene scambiata per un suggerimento della Dea Bendata. E lì incontri davvero quegli ologrammi di persone di fronte alle slot machines quasi in trance, ma per quanto si possa sostare lì non arriva mai il tanto atteso tris di ciliegine che elargirà una cascata di sonanti monete.

E i croupier, che dire? Il loro fascino viene meno davvero quando vengono corretti dal giocatore di turno su errori banali nel conteggio dei punti o nella verifica delle carte.

Nonostante ciò è davvero difficile non cercare di replicare, in una foto fatta ad arte, le atmosfere del film ‘Rain Man’, anche se “contare le carte” per me ha un significato quasi arcano.

Sì, le limousines ci sono, magari non tutte così fiammanti, ma è divertente vedere quanto poco patinati siano i personaggi al loro interno. È raro che gli ermetici finestrini oscurati siano chiusi; molto più frequente che invece siano tirati giù a far sbucare iper-turistiche selfie sticks per immortalare situazioni che davvero saranno state vissute sole se condivise.

I matrimoni in preda ad un impeto di follia non sono davvero così immediati; la trafila è abbastanza farraginosa, e niente è lasciato alla spontaneità, poiché, anche lì, a certe cose come l’anello, il bouquet, le foto, le bomboniere (!) non si può proprio rinunciare.

Speravo di incappare in un concerto estemporaneo di The Killers ad omaggiare la loro città d’origine, ma ho poi scoperto che il frontman si è trasferito nello Utah. Mi accontento di un fake anche per questo, che non tardo a trovare!

Ma per tante cose meno belle rispetto all’immaginario collettivo ne esiste almeno una (sicuramente anche molte di più) affatto negativa, rispetto a quanto invece si pensi: “con tutta la corrente elettrica necessaria ad alimentare tutte quelle luci si potrebbero illuminare intere regioni!”. 

Vero. Senz’altro per rendere così luminose ed accattivanti tutti quelle riproduzioni fedelissime di città sono necessarie moltissime Kw, ma è anche vero che la loro fonte è stata la Hoover Dam, famosissima diga, essa stessa meta di turisti che per la sua costruzione richiese cinque anni, dando lavoro a moltissime persone, che riforniva l’intera città di energia idroelettrica a basso costo.

Dal 2016, inoltre, la città peccatrice vanta infrastrutture municipali e pubblica illuminazione alimentate al 100% da fonti rinnovabili.

La Città che non dorme mai ora può tenere la luce accesa sentendosi meno in colpa.

(Foto da archivio personale)

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