Lo scorso anno riempì il Teatro Massimo di Cagliari con un progetto su Stevie Wonder. Questa volta c’è da scommettere che accadrà la stessa cosa al Lazzaretto, anche se con materiale tematico differente. Fabrizio Bosso approda il 15 settembre alle 21.30 nel capoluogo sardo per chiudere la ventisettesima edizione di Forma e poesia nel jazz. Con lui un gruppo di musicisti con i quali da tempo forma un quartetto affiatatissimo: Julian Mazzariello al pianoforte, Jacopo Ferrazza al contrabbasso e Nicola Angelucci alla batteria. Al centro del concerto i brani dell’album We4. “Alcuni pezzi del disco sono stati scritti insieme, che poi è l’idea di questo quartetto dove tutti sono coinvolti nella struttura e nella composizione. Il mio obiettivo era quello di trovare un suono e penso con il loro aiuto di esserci riuscito allontanandomi anche dall’idea del leader che deve primeggiare”.
Quest’anno cadono i cinquant’anni dalla scomparsa di Ellington a cui nel 2015 dedicò un disco.
“Ellington fa parte della mia crescita musicale come quella di tutti i jazzisti. Un compositore dal quale non si può prescindere. La cosa che mi ha sempre colpito, oltre a tutta la musica bellissima d’impatto che ha scritto, sono le melodie. Il fatto che ci emozioniamo ancora con “In a sentimental mood” è una delle tante testimonianze che ci ha lasciato. Accosto la sua grandezza a quella dei grandi cantanti di musica leggera del passato”.
Armstrong e Davis sono stati i due trombettisti che fecero il jazz. A molti suoi colleghi è capitato di arrivare alla loro musica in un secondo momento. Per lei com’è andata?
“È successo un po’ così anche per me. Armstrong l’ho scoperto e studiato prima. Miles invece un po’ più avanti. Ho iniziato a metabolizzarlo verso i sedici anni. A quell’età mi sono reso contro della forza che aveva. Da lui ho imparato la potenza della comunicazione, con poche o con tante note. Prima invece ero più attratto da trombettisti pirotecnici come ad esempio Clifford Brown”.
Gli studi classici cosa hanno apportato al suo approccio al jazz?
“Sicuramente il fatto di essere un musicista più completo sullo strumento. Hai dei mezzi in più per esprimere quello che ti passa per la mente. La tecnica è una. Non c’è quella per suonare jazz, musica classica, funk o altro. Ancora adesso faccio le cose tecnicamente classiche quando devo mettere a posto il labbro”.
Tra le sue composizioni quale la rappresenta meglio?
“Woman’s glance’, che ho registrato in “Fast flight”, il mio primo disco in quintetto. Un brano a cui sono molto legato. Mi è piaciuto negli anni vedere l’evoluzione di questa melodia suonando con altri musicisti e cambiando a mia volta il modo di suonare”.
A proposito di cambiamenti: com’è cambiato Fabrizio Bosso nel tempo?
“Cerco il più possibile l’interplay con gli altri musicisti e mi attraggono anche le ballad. Con gli anni ho imparato ad andare più a fondo nei brani d’atmosfera. Prima in un concerto era importante riuscire a eseguire il brano veloce o quello funk, tutte cose nelle quali avevo quasi la certezza che mi facessero approcciare al pubblico con più facilità. Poi mi sono reso conto che anche con quattro note suonate nel modo giusto si può arrivare lontano”.
Un consiglio d’ascolto?
“Se volete rimanere nel campo contemporaneo, sicuramente la Lincoln Center guidata da Wynton Marsalis. Per chi vorrebbe poi dedicarsi al jazz come musicista, suonare in orchestra è fondamentale”.
Progetti imminenti?
“Uscirà un disco con lo Spiritual Trio e un altro con il Latin Mood. Con il quartetto faremo un giro di concerti insieme a un sestetto di fiati arrangiati da Paolo Silvestri. Al momento ci siamo esibiti a Roma alla Casa del Jazz e a Umbria Jazz. Il giorno prima del concerto in Sardegna, parteciperò a un evento speciale al Teatro Antico di Taormina firmato da Mario Biondi in cui ci saranno artisti nazionali e internazionali. Con Mario ci lega un rapporto quasi ventennale: nel 2006 uscì infatti il fortunato Handful of soul che fece conoscere al grande pubblico non solo lui ma i musicisti di quel disco, tra cui io”.
E il pianista Luca Mannutza, che curò anche gli arrangiamenti e a Cagliari ritroverà prima del suo set…
“E’ da un po’ di anni che non suoniamo insieme, ma sarò felicissimo di rivederlo e condividere il palco con lui”.
All’organo hammond Mannutza aprirà la serata alle 20.15 in compagnia di Max Ionata, sax tenore, Fabio Zeppetella, chitarra, e del batterista russo Sasha Mashin. Anche questo un appuntamento da segnare in agenda.