La mia scuola media è stata selezionata per un viaggio premio di tre giorni a Monaco-Dachau nell’ambito del progetto “Viaggi della memoria e Viaggi attraverso l’Europa 2022”. Entro il primo quadrimestre si sarebbero decisi i primi cinquanta ragazzi con la media più alta di tutto l’istituto da mandare a Dachau per il viaggio della memoria. Quando mi è arrivata la lista e ho visto il mio nome non ci ho potuto credere, ero felice ma anche preoccupata per ciò che sarei andata a vedere.
Per me i viaggi sono una cosa felice, e questo era un bel viaggio, ma sicuramente sarebbe stato più tosto rispetto agli altri. All’inizio ero un po’ titubante, poi ho pensato all’occasione che avevo davanti ed ho deciso di partire. Il 16 maggio siamo partiti in autobus e siamo arrivati a Monaco nel pomeriggio; come prima tappa siamo stati al museo Dokumentationszentrum, un centro di documentazione sul nazionalsocialismo in Germania, molto interessante e semplice da capire.
La mattina dopo siamo andati a Dachau, dove ci saremmo fermati per mezza giornata. Gli insegnanti ci avevano avvisato che sarebbe stata un’esperienza impattante anche se Dachau era un campo di lavoro e non di sterminio. Appena scesi dall’autobus, mentre camminavamo sulla strada sterrata mi guardavo intorno e immaginavo ciò che succedeva lì dentro neanche cent’anni fa.
Camminare di fianco ai binari che conducevano alla morte mi ha toccato molto; nella mia testa c’erano le urla dei tedeschi che spiegavano di entrare e le grida disperate della gente che scendeva dai treni. Siamo entrati attraverso il cancello di ferro che aveva la scritta “arbeit macht frei” che letteralmente voleva dire “il lavoro rende liberi” ma secondo me lì dentro non c’era libertà, nemmeno col lavoro.
Mentre camminavamo c’era il rumore delle nostre scarpe sul terreno sterrato, ma io sentivo silenzio, come se le mie orecchie fossero ovattate. Mi guardavo intorno e riuscivo a vedere solo morte e sentivo freddo, anche se freddo non ce n’era.
Il campo era un quadrato enorme, in centro c’era una piazza detta “la piazza della conta” dove, numerati, tutte le mattine i prigionieri si contavano e facevano l’appello. A venire contati erano i morti, quelli che non avevano superato la notte.
Le camerate erano state distrutte e abbiamo visto solo una ricostruzione di come si sono modificate negli anni. Nel 1937 le camere erano ampie, con tanto spazio tra un letto e l’altro e le persone erano circa 5.000, come programmato. Dal 1939, con l’inizio della guerra, la situazione è peggiorata. Dachau poteva ospitare circa 6.500 persone, ne sono arrivate 30.000, le camerate erano strette e in un letto a castello dovevano dormire minimo 5 persone.
Sono stata tra i pochi a voler entrare nei forni crematori e nelle camere a gas, dove c’era ancora un silenzio mortale. Credo che la cosa più impattante però siano stati i forni, mi ha fatto rabbia vederli, perché sono simili a quelli che si usano comunemente.
Appena uscita non ho subito parlato con i miei amici, avevo bisogno di raccogliere i pensieri ed elaborare ciò che avevo visto e sentito. Questo viaggio mi ha fatto pensare molto, per quanto possa essere pesante e atroce questa è la NOSTRA storia e bisogna ricordarla, per evitare che riaccada.
foto di Giulia Toma e Camilla Keci
Questa nuova rubrica nasce con la precisa volontà di ascoltare il punto di vista delle persone più giovani su tanti temi, grandi e piccoli. È una generazione spesso trascurata nel dibattito politico e altrettanto spesso è descritta come poco impegnata, disinteressata e senza aspirazioni. Noi pensiamo tutto il contrario e abbiamo deciso di dare loro voce a partire da Giulia Toma, 13 anni di Massa Lombarda, e Filippo Spano, 13 anni di Cagliari, che da oggi animeranno questo spazio di riflessione.