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Il jazz ipnotico dei Messthetics e James Brandon Lewis infiamma il palco del Siren Festival

Di Mattia Lasio
13/07/2025
in Musica e spettacolo
Tempo di lettura: 4 minuti
Il jazz ipnotico dei Messthetics e James Brandon Lewis infiamma il palco del Siren Festival

Una leggera brezza soffia timida e  al contempo risoluta rendendo il clima fresco, le note suggestive del sax si propagano nell’aria, le persone hanno gli occhi fissi sul palco illuminato delicatamente da una commistione di luci blu, bianche e viola: l’esibizione dei The Messthetics  nella serata di ieri alla Fiera di Cagliari, sabato 12 luglio, in occasione del terzo appuntamento del Siren Festival è stato molto di più di un semplice concerto eseguito da musicisti di professione di caratura. Ha rappresentato un rituale laico, un legame tra anime affini, sopra e sotto il palco, che si sono unite in un tutt’uno diventando qualcosa di profondo e prezioso che sfugge alle definizioni. Il gruppo, fondato nel 2016 dai membri dallo storico gruppo post-hardcore dei Fugazi Joe Lally e Brendon Canty, è costituito anche dal chitarrista Anthony Pirog e si avvale della collaborazione del virtuoso sassofonista James Brandon Lewis: un quartetto affiatato che ha dato vita a uno spettacolo sospeso tra musica e sogno, evocando ricordi, sentimenti nostalgici e suggestioni da custodire gelosamente.

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Joe Lally e Brendon Canty, rispettivamente al basso e alla batteria, hanno lo stesso entusiasmo e la medesima energia di quando hanno esordito con i Fugazi con l’iconico primo disco Repeater nel 1990, a cui si aggiunge la consapevolezza di un percorso longevo e il desiderio di contaminazione e di sperimentazione di chi sa che l’arte è fatta per librarsi con fierezza oltre ogni limite e convenzione.  Si comincia alle 21.48, prima di loro si susseguono sul palco artisti di valore come Gold Mass (qui l’intervista in esclusiva per Nemesis Magazine), Big Mountain County, Desert Sharks: Joe Lally è reduce da una masterclass tecnica sul modo di suonare basso, quando si posiziona sul palco indossa ancora il cappellino grigio che aveva nel pomeriggio per ripararsi dal sole, per poi toglierselo e mostrarsi completamente in viso.  Insieme a Lewis e Brendon veste di nero, mentre il chitarrista Pirog sfoggia un vestiario più vivace con una camicia a maniche corte con motivi floreali e un paio di occhiali dalla montatura medio spessa. Subito Joe prende il microfono e ricorda il concerto fatto con i Fugazi a Gavoi trent’anni fa, in occasione dell’uscita del disco Red Machine, non mancano gli applausi del pubblico soprattutto tra coloro che erano presenti in quella felice circostanza. A rompere il ghiaccio ufficialmente è il sassofonista Brandon Lewis, alla sua delicatezza si aggiungono i virtuosismi grintosi di Pirog alla chitarra, il tutto completato dal basso di Lally e dalla batteria di Canty di grande intensità.

Passano una decina di minuti, Joe Lally si ferma un attimo, sorride e si rivolge al fonico con un sornione “one two.-one two”, in modo da sistemare  qualche piccolo accorgimento.  Si riparte immediatamente e lo show continua impeccabilmente: la chitarra di Pirog sa essere psichedelica e graffiante, al centro del palco resta sempre Lewis con il suo sax, alla sua destra il basso di Joe, a sinistra Pirog, alle loro spalle un sempreverde Canty. Guardarli in viso con attenzione è un’opportunità preziosa per cogliere realmente tutte le vibrazioni che la musica sa emanare e condensare all’interno di  una persona. Tutti e quattro sono ineccepibili e complementari, con attimi in cui il sax di Lewis spicca notevolmente, guardarli fa comprendere cosa significhi essere pienamente a proprio agio sopra il palco.  Si coglie la passione, la fatica, lo sforzo fisico e mentale nel dare vita a una esibizione che scalda i corpi e gli animi. Lewis suona quasi sempre con gli occhi chiusi, sembra davvero focalizzi la sua attenzione su un altro mondo, ogni tanto dà un’occhiata al centinaio di persone che ha davanti, per poi richiuderli e dirigersi verso mete che è possibile immaginare facendosi cullare dalle sue melodie.

Ai quattro virtuosi basta il minimo cenno per comprendersi al volo, ci sono frangenti di maggior ritmicità grazie al suono performante della batteria, altri in cui si tira il fiato grazie al sax ipnotico di un Lewis in grande spolvero che cattura l’attenzione della folla attenta e motivata. Arrivano le 22.30 e prima di lasciare il posto ai The Horrors, Brendon Canty accantona per un attimo le bacchette della sua batteria per prendere il microfono e presentare i suoi compagni di avventura, oltre che per un ringraziamento doveroso espresso con emozione e con il suo inconfondibile accento d’oltreoceano: “Essere qui in Sardegna – queste le sue parole – è sempre una grandissima gioia, davvero. Mancano ancora due pezzi, godiamoceli: è bello vedervi qui, grazie, grazie, grazie”. Nel finale l’assolo di chitarra di Pirog prepara a una nuova commistione di suoni struggenti data dall’alchimia simbiotica tra Lewis e la batteria di Brendon, che quasi sembrano richiamarsi vicendevolmente, il tutto coadiuvato dalle linee di basso di un Joe Lally che non perde mai la concentrazione e il pathos mentre suona. Alle 22.50 il gruppo termina la propria esibizione, dopo un’ora dinamica e ricca di fascino. Alessandro Baricco, nel suo iconico libro ‘’Novecento’’, affermava che quando non sai cos’è, allora è jazz: forse, al netto di ciò, basta questo per descrivere lo spettacolo dei Messthetics insieme all’eccellente James Brandon Lewis che con il loro flusso hanno incantato e infiammato una notte suadente cagliaritana di mezza estate, in cui perdersi verso nuovi orizzonti e lasciarsi trasportare altrove, distanti dai problemi della quotidianità e dalla frenesia di una vita quotidiana che, spesso, mette a dura prova. 

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