Allora, che sia chiaro, la scena italiana post punk, dark, alternativa in senso vero, non certamente post indie del 2016, è veramente valida e purtroppo diluita spesso in una malsana indifferenza causata da pregiudizi vari e reminiscenze nostalgiche che impediscono di vedere oltre gli anni ’90. Complici anche le reunion o le celebrazioni dei trentennali o quarantennali vari di album che non sono invecchiati di una virgola, si fa poi molta fatica a focalizzarsi anche su ciò che di ottimo c’è nell’era contemporanea. E così che poi si scopre di una certa “fuga” di cervelli, ovvero band italiane che sono spesso in tour all’estero (o che ci vivono proprio) dove trovano giustamente grande consenso.
E chi rimane? Chi rimane fa fatica doppia o forse anche tripla, semplice.
Un esempio palese sono i meneghini I Ragazzi Del Massacro, di cui avevamo già scritto la bellezza di quasi tre anni fa – qua su Nemesis Magazine – che tornano con un compatto ipotetico concept album ‘Babylon Club’ in cui il filo conduttore è “la città con le sue costrizioni, le sue emozioni i suoi ricordi e i suoi inferni” – nota della press –
Tenete a mente dunque questo estratto ed immergetevi come in un viaggio in un mondo di personaggi sofferenti di pressione sociale, nostalgie, sacrifici estremi, vendetta, giorni che si dispiegano a pezzi, infiniti e paradossalmente immediati, al punto da far passare su di loro gli anni come attimi tali da non far riconoscere più il luogo da cui si proviene.
Musicalmente li ricordavamo più decadenti con grandi influenze folk, ora è in atto una leggera trasformazione che fa virare il suono verso sonorità più ariose ed aperte rispetto al precedente album, rendendo Babylon Club di un alt pop non certo banale e basato sui soliti tre accordi ma assolutamente non spigoloso, invitante, quasi a realizzare un contrasto tra i testi dando un sentore di un continuo yin yang all’opera, ricordando con piacere la scena inglese 80s, il tutto integrato da un ottimo lavoro di produzione dietro le quinte.
In definitiva qualcosa di nuovo, che sfugge ai soliti wrapped di fine anno, che avrebbe potuto forse durare un po’ di più in termini di durata reale dell’album – otto canzoni per circa trenta minuti – ma che lo rendono un concept tascabile ed interessante.
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