Vedi tu a mandare Banksy in giro per il mondo, magari proprio nella “sua” Partenope, cosa può succedere. Succede che, come il gatto che se ne va in giro lascia liberi i topi di scorrazzare, a Bristol, quando l’elettronica latita, allora l’elettricità riconquista i suoi spazi. Non subito, non in maniera così plateale, ma in maniera incessante, nel sottosuolo riprendono a scatenarsi scariche violente che chiamare punk sarebbe solo una banale semplificazione da recensore, una banalità che gli Idles non meritano.
Formatisi nel 2009, dopo anni di Ep, rumori grezzi come pietre affilate su lame arrugginite, locali gestiti, dj set crocevia di caos e sudore, la band approda a concepire nel 2017 ‘Brutalism’, dichiarazione di intenti nei confronti di una società in cui i nostri non si rispecchiano e che intendono affrontare attivamente e con intelligenza. ‘Brutalism’ suona forte e si sente, e il mondo incomincia ad accorgersene, confermando poi con la loro seconda uscita ‘Joy as an Act of Resistance’ il loro valore. Ma non siamo qua a raccontare il passato, bensì omaggiare il presente, maledetto 2020 in cui tutti sentimenti si sono fusi e implosi dentro noi stessi, spettatori delle cronache quotidiane (senza richiamare i Manics di ‘Spectators of Suicide’), che cerchiamo colonne sonore per accompagnarci in questi giorni stanchi e ripetitivi.
La rabbia di ‘Ultra Mono’ è qui per questo, la voce di Joe Talbot ringhia e morde come un cane attaccato alla nostra gamba divorandocela senza pietà, ed è proprio qui secondo me che ‘Ultra Mono’ si distingue dai suoi predecessori, nella graniticità e solidità di tutto l’album, come una massa continua e bollente che ci ustiona al solo contatto, grondante di Whiskey come se fossimo in un pub inglese con foto di Gang of Four, Madness e PIL, in cui l’aria densa di fumo, alcol e puzza di sudore ci tiene preparati in un continuum il cui contorno è l’istante prima della rissa.
Si parte con ‘War’ che è già una dichiarazione di intenti, idealmente una scarica di pugni in faccia verso cui tendiamole braccia con con un ghigno amaro, proseguendo senza sosta senza pause in cui rifiatare. L’analisi di ‘Ultra Mono’ non può essere fatta senza quella dei testi, in cui le tematiche di inclusione, antirazzismo, contrasto ai pregiudizi, la fanno da padrone e ci traghettano nel reggere l’impatto di un album che scorre bene in tutta la sua non eccessiva lunghezza. Non mi sento di consigliare una traccia particolare in quanto la struttura è assolutamente omogenea ma non monotona o noiosa, ma l’intro di ‘Carcinogenic’, con il suo basso pulsante, mi vibra ancora nelle ossa.
In definitiva un’uscita che segna questo particolare anno e che alza la barra per la produzione futura della band di Bristol (anche se non tutti ne sono nativi). Li aspettiamo live, per quanto, non posso dirlo.