Non è il primo caso, ce ne sono stati altri e sempre ce ne saranno, ed è vero che ogni volta è diverso, ogni volta può piacere oppure o no, ogni volta può essere più o meno anomalo ma, siamo onesti, le band fanno quello che credono loro, non quello che crediamo giusto noi che poi possiamo investire il nostro prezioso tempo a discutere quale è o sarebbe il modo migliore ma sempre ricordando che che il come non deve prevaricare il cosa, altrimenti non si farebbe mai nulla.
Tutta questa intro per un motivo ben particolare: il ritorno dei Linkin Park.
Ci ho pensato e strapensato, sedendo e mirando, anzi ascoltando, il nuovo album ‘From Zero’, se avesse senso prima di tutto ascoltarlo proprio e poi riascoltarlo (spoiler numero uno subito) e poi anche di scriverne (spoiler numero due: mi pare di si).
Innanzitutto bando agli scandali e ritorniamo al fatto che non è certo la prima volta che assistiamo ad un fenomeno del genere, prima di tutto con la morte dobbiamo averci a che fare, non se ne esce, e lo abbiamo visto sin dai tempi di Joy Division / New Order dove però vigeva il patto di cambiare il nome e, ma questo non penso fosse stato già perfettamente deciso, di cambiare totalmente le proprie coordinate stilistiche. Cambiando continente e decennio abbiamo avuto la rinascita degli Alice In Chains e la parabola riascendente degli Stone Temple Pilots, addirittura legati a doppio filo con il tema odierno, ed in entrambi i casi c’è solo da benedire la decisione di non essersi fermati, soprattutto nel caso degli AIC che hanno proseguito in parallelo alla carriera solista di Jerry Cantrell (guarda caso qua).
Entriamo nel merito, questo è esattamente un discreto e comunque puro Linkin Park album, forse un po’ breve perché giusto di un trenta minuti per undici canzoni veramente sotto anche dello standard radiofonico dei 3:30, assolutamente non pari a quel che fu ‘Meteora’ sia chiaro, ma tiene bene il tempo che passa, rimane coerente, non si ripete come un copia & incolla continuo, ritrova in se stesso delle leggere novità che lo rendono interessante, sa picchiare duro quando serve.
Emily Armstrong fa il suo dovere, non sfigura eccessivamente al confronto comunque dovuto con Chester Bennington, tiene bene incredibilmente più nello scream che nel clean, e soprattutto c’è Shinoda a fare il suo sporco lavoro per il quale in tutti questi anni non ha mai ottenuto il riconoscimento dovuto.
Si deve essere contenti del ritorno dei Linkin Park? Secondo me si. Sarà un album che verrà riascoltato a non finire? Ho i miei dubbi. Sarà l’album giusto per ridare slancio ad una band che ha cavalcato con grazia gli anni 2000 della seconda wave del nu metal? Si, oltre al fatto che giustificherà un tour mondiale e potremmo beneficiarne.
E non è poco.
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