La poesia sfugge a qualsiasi definizione e la sua bellezza sta proprio in questo, ovvero nell’assoluto senso di libertà che trasmette grazie a versi destinati a rimanere impressi in chi legge e alla sua capacità di scuotere le coscienze. Proprio come fa Gianni Mascia che poeta lo è in maniera unica, perché in grado di amalgamare quelli che definisce i suoi grandi amori – Juan Ramón Jiménez con ‘’La stagione totale’’, i ‘’Canti’’ di Leopardi, Baudelaire, Giovanni Pascoli, la Beat Generation – alle immagini tratte da una quotidianità come quella del rione di Is Mirrionis a Cagliari che porta con sé dolcezza e malinconia, disincanto e speranze.
Elementi che affiorano dalla sua nuova opera ‘’Vento di Lorca’’ (Catartica Edizioni) pubblicata il 14 giugno – arricchita dalla prefazione di Natalia Fernández Díaz-Cabal – contenente 43 poesie che abbracciano molteplici argomenti: in ‘’Novecento’’ Mascia ricorda che ‘’l’aria profuma di notti, di lotta e di vento’’, in ‘’Auschwitz’’ rimarca con fermezza la brutalità di una delle pagine più drammatiche della storia con parole che scavano dentro: ‘’si mastica fame senza denti, lì in quell’inferno è morta anche la luna’’. Spiccano anche tre tributi, di cui due ad Alda Merini e uno a Pier Paolo Pasolini. Immancabile l’attenzione all’attualità come dimostra ‘’Deus ti salvet Maria’’ dove scrive: ‘’Mediterraneo un tempo culla di cultura e bara ora di cristallo per resti di anime morte”. Nelle 88 pagine che compongono l’antologia i picchi di lirismo sono tanti e toccano il punto massimo con il componimento conclusivo, una dedica intensa al padre punto di riferimento costante per il poeta.
Nella sua casa in via Pietro Scornigiani, a Is Mirrionis dove è nato e cresciuto, Mascia siede in soggiorno e tiene in mano la sua opera sfogliando le pagine: indossa una felpa bianca e blu, un orecchino sul lobo sinistro a forma di stella, porta un paio di occhiali leggermente abbassati che toglie e posa sul tavolo. Alle sue spalle, risaltano due dipinti: l’omaggio ad Antonin Artaud di Jack Hirschman e un gabbiano che si libra in un cielo sfumato realizzato da Cristiano Vinci. Mascia parla con la consapevolezza di chi le parole sa adoperarle con cura e non necessita di voli pindarici per esprimere ciò che ha dentro. “Ho scoperto Federico García Lorca a 10 anni, grazie alla mia maestra Maria Bertolino Solla. Su di me ha attecchito subito, la prima poesia che ci lesse fu ”Alle cinque della sera’‘. Per un po’ non ho più letto nulla di suo, per poi riscoprirlo nei primi anni Novanta: a Lorca mi lega l’attenzione agli ultimi, nei suoi confronti provo un senso di fratellanza fortissimo”. Occhi azzurri, sguardo vivace, modi cortesi: Mascia, ideatore della Scuola popolare di poesia di Is Mirrionis nata nel 2002, non lascia nulla al caso. “Ho scritto queste poesie tra il 2005 e il 2015, poi le ho accantonate per un po’. Non era il momento giusto, in 65 anni di vita ne ho viste tante e posso affermare con sicurezza che avere fretta è un tranello in cui è meglio non cadere”.
Chiacchiera con disinvoltura, dicendo la sua senza perdersi in virtuosismi fini a se stessi. “Sono un cane sciolto, non amo stare con chi si autocelebra. Questa è una società dove tutti vogliono parlare e in sempre meno sanno stare in silenzio”. E proprio nei silenzi, tra un ragionamento e l’altro, si coglie la profondità delle sue riflessioni. “Viviamo giorni difficili ma vale la pena battersi contro i mulini a vento. Non farlo significherebbe arrendersi e di arrendermi non ho nessuna intenzione”. Dal terrazzo della sua abitazione si scorgono l’imponente Castello di San Michele e la lunga schiera di palazzi color terracotta della Gescal; la sera giunge leggiadra e silente, accompagnata dal vento di Grecale che permea le parole con cui saluta quasi volesse farsi tutt’uno con esse. “La vita è un’ombra passeggera, un soffio. Per me vivere significa intraprendere un viaggio che ti riporta sempre, alla fine, al punto in cui tutto è iniziato”.