di Giacomo Pisano
Innamorato della natura, delle sue profondità e delle sue vette, Fabio Piccioni, algherese, è un fotografo dallo sguardo inusuale e dalle scelte forti. Miniere, fabbriche abbandonate, mare e boschi sono i set per i suoi inconfondibili ritratti.
Come descriveresti il tuo stile fotografico?
Domanda assai difficile. Potrei dirti che sono mosso da dei concetti chiave che, forse in realtà, sono più dei pensieri ricorrenti e ossessioni personali, i quali a loro volta mi portano a voler comunicare sensazioni ed emozioni che di conseguenza mi spingono ad andare alla ricerca di luoghi adatti a rappresentarli. Semplice vero?
Personalmente ho sempre trovato una forte logica narrativa nelle tue immagini, mai belle per il solo gusto di esserlo. Come nasce la tua idea di foto?
La mia idea di foto consiste nel cercare di rappresentare quanto più dettagliatamente possibile i pensieri che mi ossessionano attraverso un mezzo che è la macchina fotografica, per poi riprodurre il tutto su un supporto cartaceo o digitale che riesca a mantenere quella stessa visione in termini di mood e sensazioni senza discostarsi dall’idea madre e mantenendo addosso i profumi e le sfumature del pensiero originale.
Adori la natura e la documenti, fai scalata e immersione in grotta, hai partecipato a progetti sul territorio poi concretizzati con due pubblicazioni. Sei attento osservatore dell’ambiente e tutto questo traspare nelle tue immagini. L’essere umano, se escludiamo i ritratti, è una componente piccolissima di questo tutto. Quale è il concept alla base di questa visione?
Penso profondamente che noi siamo solo uno dei tantissimi elementi che interferiscono nella vita del nostro pianeta. Potrei dirti anche che siamo gli unici ad interferire negativamente con esso ma preferisco non dilungarmi in questo discorso. Spesso nelle mie immagini tutto ciò che è essere umano viene rappresentato e riprodotto con delle proporzioni a favore della natura, elemento predominante nella vita di tutti noi, che lo vogliamo o meno.
Dalla luce naturale e avvolgente alle profondità buie delle miniere e alla penombra creata dagli ingranaggi delle industrie. Parlaci del tuo amore per l’archeologia industriale.
E’ un amore che parte da molto lontano. Da piccolo sono sempre stato affascinato dalle case abbandonate, sia in paese che nelle campagne. Da ragazzino ci ho girato un sacco: mi piaceva restarci dentro a lungo guardandomi attorno. Pensa che anche il luogo di ritrovo con gli amici dell’infanzia/adolescenza, per circa un anno e mezzo, è stato un enorme edificio abbandonato. Quello era il nostro mondo e li dentro ci sentivamo al sicuro, liberi di fare quello che si voleva. Poi ho conosciuto la fotografia e gli abbandoni industriali sono stati il mio primo elemento di ricerca e, per anni, l’unico. Oltre a documentare la realtà industriale in Sardegna ho viaggiato molto alla ricerca di questi luoghi, sia in Italia che all’estero. Mi piace camminare in queste realtà così uniche e particolari dove ormai l’essere umano ha abbandonato il suo viverci dentro ed in cui la natura piano piano ha ripreso il suo legittimo spazio. Di fianco a questi piaceri personali poi mi accompagna la curiosità di vedere i luoghi in cui generazioni di persone si sono formate, dedicandogli gran parte delle loro vite. A tutto questo poi si aggiunge l’esigenza di documentare e preservare un momento storico importante della nostra civiltà assieme a quello di creare un archivio fotografico in grado di poter conservare la memoria di quei luoghi e quelle genti consentendo alle generazioni future la possibilità di conoscerle e di fruirne liberamente. La memoria va preservata e conservata.
Nei ritratti prediligi persone dalla bellezza particolare, curando anche outfit e accessori. Posa ed espressività sono il completamento di un lavoro immersivo. Dicci qualcosa del tuo rapporto con chi posa per te, come crei la sinergia.
Per i miei ritratti ho l’esigenza di lavorare con persone che si comportano in maniera naturale. Ho bisogno di armonia e semplicità e questo è il motivo principale per cui spesso nelle foto ritraggo persone che non posano per professione. Meno esperienza nel posare hanno e meglio è. Non ho mai pagato nessuno per posare per me cosi come non ho mai chiesto a nessuno dei soldi in cambio degli scatti che consegno alle persone ritratte. Credo fortemente nell’importanza delle collaborazioni, poi da cosa nasce cosa. La tattica di molti fotografi nell’utilizzare modelle famose per avere facili visualizzazioni e seguaci non mi riguarda, anzi, io remo in direzione opposta, vado alla ricerca di volti nuovi, liberi dalle logiche dei social. Inoltre non sentirei mai veramente miei dei lavori fatti con modelle blasonate o già molto fotografate da tutti. Ci sono persone con cui nel tempo si è creata una sinergia particolare e nei lavori questo traspare. Mi piace immergermi totalmente nella natura cercando con loro un dialogo armonioso, naturale.
Lo stile di alcuni tuoi ritratti li rende adatti anche a redazionali moda e infatti spesso le tue foto sono su Vogue. Come è nata questa collaborazione?
Quella con Vogue non è una vera e propria collaborazione. Io invio delle immagini che secondo me sono pertinenti alla loro visione iconografica e, se loro le ritengono valide, vengono pubblicate sul loro sito. E’ capitato diverse volte ormai quindi immagino che le mie immagini piacciano a Vogue in qualche maniera.
Quale sarà la tua prossima fatica artistica?
Ho dei grossi progetti aperti, primo fra tutti “Land of mines”, un progetto di documentazione delle miniere della Sardegna che porto avanti ormai da anni. Sto meglio delineando anche il mio progetto di “ritratti ambientati” che prenderà forma in un’opera antologica ma preferisco non svelarti niente ancora. In questo periodo di lockdown ho inoltre approfittato della per me inusuale permanenza in casa per iniziare a delineare finalmente il mio sito internet che, se va tutto bene, dovrebbe vedere la luce nei prossimi mesi.
Tra le sue mostre ricordiamo: Comeback to surface, Sottovento, Pavia, 2010; Tomorrow is gone, Casa da Horta, Porto (Portogallo) 2011; A.Banda, Museo del Carmelo, Sassari, 2012; World after day zero: sguardi quotidiani post-catastrofe, Siotto, Alghero, 2012; V.A.M.P. – Human decay, EXMA, Cagliari, 2013; Convergence/Centrum, Fondazione Bartoli-Felter, Cagliari, 2013, Steps to decay: I luoghi dell’abbandono, Palazzo di Città, Cagliari, 2014; Esplorazioni sotto la Nurra, Casa delle Associazioni, Porto Torres, 2015;
Pieces, Florio, Cagliari, 2017; Earth, EyeEm Studio Gallery, Berlino (Germania) 2018, Stagioni diverse, Grape Hop’s Events, Alghero, 2018.
Sue foto sono contenute in varie pubblicazioni tra cui: Generación Espontánea, n.12-13, Madrid, Spagna, 2014; Landscape Photography Magazine, n.81, Troon, Scozia, 2017, Dark Beauty Mag, X 1.18, Las Vegas, Stati Uniti, 2018, Sardinia Post Magazine, n.10, Cagliari, 2018; I tesori nascosti di Sardegna – Le grotte e le meraviglie sotterranee, n.9, Cagliari, Italia, 2018, I tesori nascosti di Sardegna – Miniere e cave dismesse, n.10, Cagliari, Italia, 2018; Pareti, n.128, Parma, 2019, Up Climbing, n.6, Milano, 2020, Vogue Magazine.
Tra i riconoscimenti: A.Banda, From obliteration till extinction, 2011 e Aspawards, Stagioni Diverse, 2018.