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Evitiamo che il Giorno del Ricordo sia una celebrazione fascista

Di Mario Gottardi
10/02/2022
in Cultura, Editoriale
Tempo di lettura: 7 minuti
Foibe

Cinque partigiani sloveni sono fucilati dai soldati italiani, villaggio di Dane, 31 luglio 1942. (Muzej novejše zgodovine Slovenije, Lubiana, n° inventario 1818)

Da diciotto anni nei primi dieci giorni di febbraio e per qualche giorno dopo si assiste a un delirio ideologico che fa sembrare la “Repubblica nata dalla Resistenza” uno stato fascista. Non c’è che dire, gli ideatori del Giorno del Ricordo sono riusciti nel loro intento. Sia chiaro, quello che è avvenuto è un evento tragico che però è molto complesso. Dividere tra buoni e cattivi, tra bianco e nero è impossibile. Ci sono invece diverse tonalità di grigio, ed è giusto guardarle e analizzarle, tenendo ben presente la distinzione tra fascisti e chi i fascisti li ha combattuti.

Quello che finora ha fatto la destra non è altro che perpetuare la stessa strategia dei fascisti di allora: l’equiparazione tra l’essere italiani ed essere fascisti. Quindi, se la propaganda di allora aveva gioco facile a dire che i partigiani jugoslavi sparavano agli italiani, quando in realtà combattevano contro l’invasore fascista, la propaganda odierna ha gioco facile a dire c’è stata pulizia etnica (espressione sempre molto presente ogni volta che si parla di Balcani) contro gli italiani. La realtà è ovviamente più complessa e non si può ridurre tutto alle categorie nazionali. Ma è quello che si è fatto: un uso politico e ideologico della storia: film, celebrazioni, sport, ospitate televisive, addirittura programmi di divulgazione storica che ripetono falsità si susseguono. Per non parlare di post sui social. Una poltiglia ideologica che pochi in ambito politico sembrano voler affrontare a viso aperto, tutti timorosi dell’accusa che inevitabilmente arriverebbe dalla destra: “negazionismo”. Come per chi nega l’Olocausto. Il paradosso per gli eredi di chi ebrei, rom, omosessuali nei campi di sterminio ce li ha mandati davvero. 

Questo è il minimo che accade a chi osa parlare del Giorno del Ricordo in termini non nazionalisti. Il minimo perché poi in genere seguono gli insulti sui social, la vera e propria presa di mira da armate di bulli che popolano le costellazioni neofasciste italiane. Con la polizia che deve tutelare l’incolumità degli storici che vogliono parlare di foibe, esodo dalmata giuliano e fronte orientale nei convegni che vengono organizzati da chi vuole ascoltare la storia e non l’ideologia.

Il peggio è vedere le personalità e le istituzione repubblicane celebrare in senso nazionalistico questa giornata. Questo è il vero capolavoro politico di chi ha fortemente voluto la legge 92 del 30 marzo 2004, che ha istituito il Giorno del Ricordo. 

Per dare un nome e un cognome, il merito è dell’onorevole Domenico Nania, parlamentare del Movimento Sociale Italiano prima, di Alleanza Nazionale poi, quando è riuscito a far approvare la legge 92, che oggi milita in Fratelli d’Italia.

Un manifesto fascista

Se si va a vedere la genesi della legge 92 si scopre che furono i movimenti e i personaggi eredi e orfani di Mussolini a farsi propugnatori di una legge che già dall’iter della sua approvazione fu utilizzata in chiave “anti 25 aprile”. Una legge il cui vero intento è di “risarcire” i fascisti, di dare loro una giornata di celebrazione per legge. Tutti sapevano che sarebbe stata usata per mettere sullo stesso piano fascisti e antifascisti, aguzzini e vittime, oppressori e oppressi e poi, con l’andare del tempo, avrebbe elevato i primi a eroi nazionali e i secondi a “vili traditori assetati di sangue italiano”.

Un’esagerazione? Non proprio. La Rai negli anni scorsi ha trasmesso due fiction, “Il cuore nel pozzo” e “Rosso Istria”. Se il primo ripercorre cliché triti e ritriti, come gli slavi popolo rozzo e violento, il secondo è sembra uscito dal Minculpop. Le “vittime”, cioè i buoni, sono fascisti dichiarati, inneggiano al Duce e anelano l’arrivo dei salvatori nazisti. I “cattivi” non vale nemmeno la pena dire chi sono.

Si è arrivati addirittura a dare un riconoscimento a fascisti conclamati, a volte responsabili di crimini di guerra. La legge infatti istituisce un “riconoscimento ai congiunti degli infoibati” e un premio di questo tipo è andato agli eredi di Vincenzo Serrentino, fascista della prima ora, membro del Tribunale straordinario della Dalmazia attraverso cui “senza il rispetto delle più elementari norme procedurali” condannò a morte “anche persone minorenni”, come scrisse la Commissione ministeriale d’inchiesta sui crimini di guerra in Jugoslavia, del 1946. Arrestato e processato in Jugoslavia, venne riconosciuto criminale di guerra e fucilato nel 1947. La Repubblica Italiana con la Costituzione antifascista sessant’anni dopo gli ha invece dato la medaglia d’oro in quanto “infoibato”.

La copertina di E allora le foibe? di Eric Gobetti

Queste e altre mistificazione si susseguono da ben 18 anni, nonostante il meritorio lavoro di storici come Carlo Greppi, Piero Purini Purich, Federico Tenca Montini, Roul Pupo, Nevenka Troha.

Tra le pubblicazioni più recenti sul tema c’è quella di Eric Gobetti, autore di “E allora le foibe?”, edito da Laterza nella collana “Fact checking: la storia alla prova dei fatti”. Utilizzando il tipico refrain che la destra usa per zittire gli avversari e per far passare una visione nazionalista e fascista della storia, Gobetti smonta, punto per punto tutti i luoghi comuni propagandati in questi ultimi anni quando si parla della tragedia delle foibe e dell’esodo dalmata-giuliano. 

A iniziare dal numero delle vittime, gonfiato a dismisura con l’obiettivo di aumentarne l’importanza. Come se l’evento in sé non fosse già abbastanza drammatico di suo. È il caso dell’allora ministro per le Comunicazioni, Maurizio Gasparri, che dichiara che le vittime sarebbero state “milioni”. Più di recente, nel 2018, il giornalista Paolo Mieli, nel suo programma di divulgazione La Grande Storia afferma che le vittime delle foibe sarebbero “forse decine di migliaia, o addirittura centinaia di migliaia” (se si vuole riguardare c’è il video su Raiplay). 

Le vittime furono infoibate sostanzialmente in due periodi: nell’autunno del ’43 nelle foibe istriane vennero sepolte tra le 400 e 500 vittime.

“I morti delle foibe istriane poi andrebbero messi a confronto con le altre vittime in questo contesto geografico – scrive Eric Gobetti nel suo libro – Lo abbiamo visto: i soldati italiani fucilano migliaia di partigiani e civili durante l’occupazione, ne internano decine di migliaia e circa 5 mila muoiono di stenti nei campi di concentramento […] il rastrellamento condotto dai tedeschi nell’ottobre del 1943 fa, in meno di una settimana, circa 2.500 morti, in gran parte civili. Gli eventi del settembre 1943 vanno letti in questo contesto di guerra: un contesto di ritorsioni reciproche, di violenze fuori dal combattimento nei confronti dei civili, che accadono in ogni parte d’Europa e che qui fanno centinaia di morti da una parte e migliaia dall’altra”.

Foibe, Jugoslavia
L’impiccagione di Lepa Radić, partigiana jugoslava. Ai tedeschi che le chiedevano i nomi dei suoi compagni, rispose: “li conoscerete quando verranno a vendicarmi”

Per le foibe del ’45 il calcolo è più difficile ma anche in questo caso gli storici concordano su una cifra che varia tra 4 mila e 5 mila. Più impreciso ancora il calcolo degli esodati. I profughi sarebbero comunque circa 300 mila, espatriati in una quindicina d’anni (1941-1956).

“Esistono anche altri fenomeni, paragonabili all’esodo degli istriano-dalmati, del tutto dimenticati e che ci riguardano da vicino. Alla fine della guerra decine di migliaia di italiani vengono allontanati dalle ex colonie africane, dalla Grecia e dalla Francia, come ritorsione per la ‘pugnalata alle spalle’ del 1940. In particolare sono circa 200.000 gli italiani che lasciano il Nord Africa francese, provenienti soprattutto dalla Tunisia” (Eric Gobetti)

Come tutti gli eventi umani, specie quando si parla di contesti bellici, anche quello delle foibe e dell’esodo dalla Dalmazia e dall’Istria sono un evento complesso e tragico. Gli studiosi non hanno mai rifuggito la complessità e la violenza che trasudano i documenti che attestano quello che è successo. Se non hanno mai negato la tragedia, non hanno nemmeno accettato le mistificazioni e le strumentalizzazioni.

Si deve anzi soprattutto a loro e all’Anpi (qui, ad esempio, un intervento del presidente dell’Anpi Cagliari, Marco Sini) se in questi anni si è tentata una resistenza culturale alla fascistizzazione della Giornata del Ricordo. Si deve, ad esempio agli autori del “Vademecum per il Giorno del Ricordo”, edito dall’Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia, 2019 (lo si può scaricare qui). Attraverso il loro impegno nella ricerca e nella divulgazione, sono tra i principali protagonisti della lotta contro il ritorno delle idee nazionaliste e fasciste che sono seguite all’istituzione della Giornata, nel consenso complessivamente generale dell’arco parlamentare, dalla destra – ovviamente – alla sinistra.

“Nel momento in cui questo tema è entrato nel discorso pubblico lo ha fatto con il linguaggio, gli slogan, le parole d’ordine degli unici che ne avevano fatto un uso politico fino ad allora: i nazisti fra il 1943 e il 1945, e in seguito i neofascisti. Solo in parte sono state ascoltate le esigenze di espressione e di riconoscimento avanzate dall’associazionismo degli esuli, spesso d’altronde diviso al suo interno […] È questo, purtroppo, il racconto che diventa celebrazione nazionale e che minaccia di trasformare il Giorno del Ricordo in una commemorazione fascista” (Eric Gobetti)

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