In tutto il mondo giugno è il mese dedicato al Pride, al racconto dell’orgoglio e della manifestazione libera del proprio modo di essere.
Un editoriale su questo tema non può che soffrire di una certa retorica perché è ormai anni che attraverso attività coese e iniziative di singoli si celebra un elogio della diversità e questo lascia certo poco spazio per riflessioni fresche. Ma dal momento che l’originalità non è lo scopo di queste nostre righe penso che ogni contributo sia utile per tentare di equilibrare il dislivello della narrazione sociale tra chi detta le regole e chi è costretto a subirle.
L’accettazione non è detto che sia una cosa positiva, laddove l’inclusione ha il sapore della tolleranza, o peggio, della compassione, non può esserci vera giustizia sociale né reale integrazione fra le differenze.
Le differenze invece sono il vero valore da coltivare perché, indipendentemente dall’orientamento sessuale, dal colore della pelle, dall’essere persone con disabilità fisiche o mentali, ci offrono un confronto. Incontrare gli altri non significa solo prendere atto della loro esistenza e in qualche modo tollerarla ma misurarsi con loro, dialogare, ascoltare e magari anche imparare. In ogni caso un confronto non è quasi mai sterile, ma foriero di pensieri e riflessioni che possono aiutarci a crescere.
Siamo persone, tutte quante. Dovrebbe bastare questo a far girare il mondo. Ma siccome non è così eccoci qui, dove siamo sempre stati, a suggerire di non scappare davanti alla diversità ma di cercare di comprenderla.
Quello che ci preme sottolineare è che, banalmente, ognuno di noi è il freak di qualcun altro. Nessuno può dirsi normale dal momento che siamo tutti diversi a modo nostro e che per quanto ci si possa definire ogni etichetta sarà comunque labile, ne incrocerà altre, si sovrapporrà ad altre ancora.
Nessuno di noi è una sola cosa che lo definisce.
Tutti noi siamo dei Frankestein creati con la pretesa di una perfezione che esiste solo sulla carta di chi vuole le persone allineate, zitte, possibilmente ignoranti, in modo da poterle appiattire e controllare.
Non permettiamo che questo accada. Non consentiamo che la superficialità di certo tipo di linguaggio, che la retorica dell’abilismo, che l’ipocrisia di chi detta i canoni di questa presunta perfezione, ci metta in dubbio e offenda al punto di farci perdere una battaglia irrinunciabile.
L’identità è un concetto mobile, fluido, dinamico per sua stessa natura e si costruisce anche grazie ai pezzetti di esperienza che le persone diverse da noi ci regalano. Ogni pezzetto è una conquista.
Non rinunciamo mai a questa ricchezza, pratichiamo l’ascolto e la gentilezza ricordandoci sempre che un freak è di sicuro molto più autentico di tanti proclami sulla normalità.
Coltiviamolo questo Frankestein e mostriamo al mondo la sua bellezza.