In questi tempi dove la provocazione è ridotta a mero e sterile esibizionismo e ci si scandalizza per Manuel Agnelli a petto nudo o per le intemperanze di Morgan, viene quasi difficile pensare a quando la rossa e tollerante Bologna del 1988 viveva i suoi ultimi anni di “opulenza comunista ed efficienza svedese” e, fra la morte di Andrea Pazienza e la nascita del centro sociale Isola nel Kantiere, reagiva sgomenta all’uscita di un EP molto particolare.
Dal concerto dei Clash del 1980, l’amministrazione comunale era stata criticata a più riprese dalla scena che gravitava attorno al Punkreas e all’etichetta Attack Punk Records. Band come i RAF Punk di Jumpy Velena, i Nabat e i Bacteria, fedeli al moto dei Crass,”They can stuff their punk credentials”, contestavano la “Laida” Bologna della rivoluzione istituzionalizzata, dell’antagonismo municipalizzato e del controllo sociale attuato con la normalizzazione di massa del Piano Giovani.
In questo contesto il quartetto Parisini, Santini, Maiani, Albertazzi fonda i “cattivi” e politicamente scorretti Disciplinatha, che proprio per l’Attack pubblicano un EP che già dal titolo, “Abbiamo pazientato 40 anni ora basta”, a Bologna suona come una bestemmia. Copertine con Piccole italiane e Balilla, ringraziamenti a Ezra Pound, Céline e Francesca Mambro, fanno inorridire una città ancora tramortita dalla strage alla stazione e fiera di una fortissima tradizione partigiana. Il disco fa il resto.
La voce di Mussolini che si scaglia contro l’Etiopia introduce violentemente ‘Addis Abeba‘ e fra chitarre distorte, “A Noi!”, jingle da TG e avanguardie futuriste, impazza la furiosa miscela di punk, hardcore e industrial che fa da tappetto sonoro a eloquenti brani come ‘Disciplinatha: il canto del potere’, ‘Milizia’, ‘Retorika’, ‘Leopoli‘ con l’agguerrito strumentale “marinettesco” di ‘Attacco dal cielo‘ in chiusura.
Ispirati fortemente dalla teatralità dei CCCP e dalla messa in scena dell’estetica del potere e della sottomissione dei Laibach, i loro concerti sono caratterizzati da espliciti riferimenti multimediali all’iconografia del ventennio. L’estrema provocazione che evoca le svastiche di Sid Vicious e i deliri neonazisti del Duca Bianco viene però mal recepita e fatta a pezzi dai media. A poco servono le dichiarazioni di non appartenenza a un partito, un’idea o una nostalgia; i negozi si rifiutano di vendere i loro dischi e i locali non vogliono saperne di farli suonare. Nelle rare esibizioni dal vivo talvolta, a loro tutela, viene schierata la celere e la data annullata a Verona, per il concomitante arrivo di “camerati e compagni” con intenzioni tutt’altro che pacifiche, è emblematica dell’indignazione trasversale che il gruppo è riuscito a scatenare. Il risultato è che i Disciplinata, irricevibili e indesiderati quasi ovunque, finiscono nella più totale emarginazione.
Succede però che mentre crolla il muro di Berlino, alla Bolognina il P.C.I emette il canto del cigno e la fedeltà alla linea viene a mancare, Massimo Zamboni e Giovanni Lindo Ferretti, rimasti folgorati da questa “musica che fa i conti con la storia” portano la band nella scuderia de I dischi del Mulo. Al Museo Pecci di Prato, il 10 settembre del 1992, mentre va in scena il funerale dei CCCP, si celebra la reincarnazione in Consorzio Suonatori Indipendenti e il battesimo degli Ustmamò, i Disciplinatha tornano alla ribalta.
Forti di questa “raccomandazione” e della benedizione di un guru del punk internazionale come Jello Biafra, ad un tratto i Discplinatha non solo risultano tollerati e accettabili, ma anche largamente richiesti. Fra tre dischi, novità stilistiche e vari cambi di formazione, la band si ritrova al centro di un vortice – da Materiale Resistente alle Feste dell’Unità, da Battiato al Leoncavallo, dal Premio Tenco al Primo Maggio, fino all’Adidas Street Ball con le star dell’NBA e alle apparizioni in TV a Segnali di Fumo – che produce un esponenziale aumento in termini di vendite e spettatori.
La vetta raggiunta però è troppo alta, il rischio è quello di cadere e di farsi veramente male e infatti succede che, travolto dal successo e da quella normalizzazione consumistica tanto osteggiata, il gruppo implode e si disintegra nella sua stessa contraddizione. Disciplinatha che “criticava e negava” e come tale era destinato ad essere criticato e negato ha il merito di aver tracciato un solco profondo e fuori dal coro nella storia della discografia italiana. Talmente profondo, che oggi a distanza di tanti anni, fa ancora discutere e infervorare.