L’idea di poter passare pomeriggi ad ascoltare il nuovo album di una delle band più influenti di fine anni ’90, lo ammetto, non mi sarebbe mai balenata per la testa, ma d’altronde sono tante le cose su cui non avrei scommesso nemmeno un centesimo in questi ultimi mesi. Ma se c’è una cosa per la quale mi sono sempre distinto è stata una speranza del ritorno, un po’ à la Califano, per intenderci, non lo escludo.
Ed è quello che è successo per la band di Sacramento, e, fatemelo scrivere subito, con mia immensa gioia, una gioia quasi fanciullesca, con le lacrime agli occhi.
Purtroppo son ben lontani i fasti dei rituali dell’attesa di un cd ordinato via posta, scartato con bramosia e poi infilato con attenzione nel lettore stando attenti a non rovinarlo, è tutto troppo maledettamente 2000 ma non importa, ci accontentiamo della facilità di fruizione della moderna tecnologia ed è un bene: se non ci fosse stata tale semplicità e facilità di fruizione, forse, non avrei ascoltato mai ‘Ohms’. Perché? perché, onestamente, non avevo più la minima voglia di accostarmi ad un nuovo lavoro dei Deftones, da almeno il 2006. Non ero più riuscito ad avvicinarmi a nessuno delle uscite successive a ‘Saturday Night Wrist’ (che peraltro non era riuscito a convincermi) fatta eccezione per gli album di cover & rarities, capitoli a parte viste le molteplici influenze che i Deftones han sempre potuto vantare e li avevano sempre fatto risaltare alla massa di band del periodo.
Questa volta è andata diversamente, già i primi secondi di ‘Genesis’ hanno ridestato un qualcosa in me ormai sopito da anni, impostando un lock-in del mio animo su quei suoni che tornavano prepotentemente dal passato ma è stato il tocco di Chino Moreno, in una forma a dir poco assolutamente meravigliosa a portarmi quasi alla commozione. Qualcosa era tornato.
La serie di conferme continua con ‘Ceremony’, che parte leggermente in maniera più quieta per poi riesplodermi dentro con una forza che sa essere violenta e gentile, come una nuova linfa che torna a scorrere dopo anni in cui si era tristemente limitata a stillare una goccia alla volta.
Il valore di quest’album risiede tutto nel fervore che sa donarci, in quel mix tra gli sfregi elettrici di un sempre ispirato Carpenter, percussioni geometriche, momenti più rilassati che sono solo una preparazione agli assalti successivi, carezze tristi della voce potente e dolce di Moreno, synth che non occupano mai uno spazio eccessivo conferendo però quel tocco erotico e suadente marchio di fabbrica inimitabile.
Il valore di ‘Ohms’ è nella sua sincera bellezza, la bellezza di una vita in cui tutto esiste e convive nelle sue moltitudini, d’altronde dobbiamo ricordare che questa è l’unica band in grado di poter coverizzare Smiths, Cocteau Twins, Sade, ad esempio, donando ad ogni versione una particolare ed inimitabile luce propria e mai riflessa.
Continuando nell’ascolto si fa veramente fatica a trovare dei momenti sottotono, anzi ‘Radiant City’ ci riporta ai fasti di ‘Around the Fur’ e ‘Adrenaline’ con però un ritornello che ti entra in testa e che vorresti urlare per strada per quanto meraviglioso, impossibile rimanere indifferenti
Diciamo le cose come stanno: a 20 anni da ‘White Pony’, non potevamo chiedere di meglio, forse per merito di Terry Date e del suo superlativo lavoro in fase di produzione, forse per il continuo lavoro di ricerca, sperimentazione della band di Sacramento, unica forse che ha saputo mantenersi sempre attuale, fagocitando le più disparate influenze rendendole poi un amalgama splendente. ‘Ohms’ è un album che non potrà uscire dalla nostra hot rotation per svariati mesi e che aggiunge un ulteriore tassello alla carriera della band Nu-Metal (perdonatemi, alla fine ho dovuto scriverlo) più eterogenea, completa, forse più longeva e di sicuro meglio maturata, dall’alto ormai dei suoi 30 anni di carriera
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