Quando Barbara Baraldi, scrittrice bolognese con l’amore per il noir e il gotico, è diventata curatrice di uno dei fumetti più longevi e amati di sempre, ha subito pensato di innovare la formula già vincente di Dylan Dog affacciandosi sul panorama artistico nazionale, ricco di talenti.
Il suo occhio attento, allenato e sensibile non poteva che intercettare Daniele Serra che oggi possiamo decisamente definire un’eccellenza sarda. In “Strade perdute”, l’albo speciale a colori attualmente in edicola, compaiono tre storie inedite: “Il viaggiatore del vuoto” di Marco Nucci e Daniele Serra, “Il prezzo dei miracoli” di Davide la Rosa e Nicolò Pendinelli, “Maschere” di Sergio Algozzino.
Albo che in realtà è stato parecchio difficile trovare perché appena uscito è andato a ruba tra gli edicolanti. E leggendolo si capisce perché. Il personaggio di Dylan Dog, un grande e acclamato classico, rinnova la sua freschezza e, se possibile, in queste storie aggiunge sfumature di carattere e pensiero che lo rendono ancora più profondo e interessante. Come a dire che tanto ancora c’è da scoprire e che la sua storia è ben lungi dall’essere conclusa.
Gli stili dei tre illustratori non potrebbero essere più diversi e nell’insieme il lavoro è eccellente. Se Algozzini porta avanti un segno in linea con la tradizione fumettistica italiana, con colori corposi e pieni, Pendinelli è invece quasi psichedelico nella scelta cromatica e negli originali tagli delle inquadrature sceniche. Serra, a cui è affidata anche la copertina, conferma la sua maestria nel gestire sfumature e trascoloramenti che fanno di lui un artista vicino ai pennelli di William Turner, su tutti, ma anche di John Constable, padri indiscussi del romanticismo inglese.
“Dylan Dog rappresenta l’horror in Italia – ci ha detto Serra – disegnarlo è stata un’esperienza magica, poter dare forma a un personaggio che ha segnato la mia adolescenza e innescato in me il piacere per l’oscuro non ha prezzo“.
Le atmosfere che Daniele Serra riesce con apparente facilità e naturalezza a creare sono frutto non solo di competenze tecniche e di sperimentazioni continue ma anche di una visione della vita molto particolare. La sua è una sorta di poetica dell’ombra, celebrata nei paesaggi, nelle figure umane e animali ma in cui la componente luce non viene mai meno, non per contrasto compositivo, o almeno non solo, ma proprio per scelta di concetto, per sottolineare il dualismo, la complessità della vita e delle personalità, abbracciando l’intero spettro dei sentimenti umani. Il messaggio dei pittori romantici è digerito, interpretato e riproposto in una chiave estremamente contemporanea, il cui delicato e doloroso fascino non può che conquistare.
Daniele Serra conferma questo suo duplice e raro valore: la versatilità e la coerenza. Perché pur prestando la sua arte a scrittori, musicisti e a progetti a volte molto diversi riesce a mantenere un marchio di fabbrica riconoscibile e sempre di altissimo livello.
Serra ha anche un altro pregio, che ha in comune con Tim Burton, ad esempio, la sua capacità di farci scoprire meraviglie nascoste, di insegnarci a guardare nei recessi più oscuri del mondo, della nostra anima e di quelli che la società presuppone mostri per trovarci, invece, un’inedita bellezza.