Sebbene siano interpreti preziosi del patrimonio culturale e naturale, gli operatori turistici stanno rischiando di vedere messa a rischio la loro professionalità dopo l’entrata in vigore di una nuova disciplina nazionale, la legge 13 dicembre 2023, n. 190 che ha apportato diverse novità, sia per coloro che vorranno avvicinarsi alla professione che per le guide già abilitate.
Le guide turistiche, in Sardegna così come nel resto d’Italia, giocano da sempre un ruolo decisivo anche nello sviluppo di una cultura del turismo rispettosa del territorio, delle sue risorse e peculiarità, e per questo meritano di essere tutelate e valorizzate.
“La situazione è abbastanza complicata, sotto più punti di vista. Abbiamo necessità di nuove guide specializzate sul territorio regionale, che conoscano le lingue straniere diverse dall’inglese, e la legge 190/2023 non è una risposta in tal senso”, dichiara Michela Mura, presidente ARGTS (Associazione di Categoria delle Guide Turistiche della Sardegna) che venerdì 2 febbraio ha organizzato un convegno di confronto all’Hotel Regina Margherita di Cagliari tra tutti i professionisti del settore, per sensibilizzare e discutere le criticità della nuova legge.
La recente normativa prevede infatti una abilitazione nazionale e non più regionale, subordinata in primis al possesso di una laurea triennale da parte degli aspiranti e poi al superamento di un esame di carattere generale che di fatto non valuta la conoscenza del territorio su cui le nuove guide si troveranno a operare. Solo facoltativamente si potrà accedere a una specializzazione ulteriore, territoriale o tematica, secondo quanto disposto dalle nuove linee guida. Così facendo si raddoppiano gli esami e le tempistiche per l’immissione delle nuove leve sul campo.
Da oltre vent’anni la categoria chiedeva una legge quadro sul turismo che rendesse omogenei i criteri di abilitazione delle figure professionali, ma che al tempo stesso fosse orientata a valorizzare le specificità dei territori in cui si lavora.
Niente di tutto questo sembra essere previsto in quella che teoricamente si presenta come una legge nata per recepire la direttiva Bolkestein sulla libera circolazione dei servizi e delle merci, che con riguardo all’ordinamento italiano ravvisava un ostacolo nel rilascio delle abilitazioni – necessarie alle guide per poter operare – da parte delle singole regioni. Davanti all’esigenza di uniformarsi al dettato europeo ci si è di fatto appiattiti rinunciando a tutelare le peculiarità del territorio italiano, che si presenta molto più variegato di altri contesti europei.
“Altro punto dolente – aggiunge Mura – è la diversità di trattamento che sembra emergere dal disposto normativo tra una guida italiana e una che provenga dall’estero e che si rechi in Italia per effettuare prestazioni di lavoro temporanee (possibili entro un periodo massimo di 60 giorni), per esempio con riguardo all’obbligo del possesso delle certificazioni linguistiche che dovranno essere rilasciate da enti riconosciuti, vincolo imposto solo alle guide nazionali”.
Motivo di confusione, inoltre, la presenza di un elenco nazionale cui solo le guide italiane dovranno iscriversi. La legge non parla di albo ma di fatto l’elenco si comporta esattamente come questo. Impone obblighi di aggiornamento professionale ogni tre anni pena l’interdizione dal lavoro, e la stipula di un’assicurazione per la responsabilità civile al fine di poter esercitare.
Una legge così impostata non appare rispondere alle richieste massicce di turismo esperienziale a autentico che provengono dal mercato. Una tipologia di turismo che potrebbe essere offerta solo da persone che conoscono il territorio in ogni suo anfratto, capaci di proporre percorsi alternativi ai noti. Piccole realtà verrebbero inserite in percorsi virtuosi di destagionalizzazione e contrari allo spopolamento interno, creando indotti significativi in siti spesso già destinatari di investimenti pubblici per il recupero e la valorizzazione.