Quante volte leggiamo sui giornali che qualcuno è “costretto su una carrozzina”, “vittima”, “sofferente”, “anormale” per una disabilità, o al contrario “speciale”, “eroico”? Sono questi pezzi di un linguaggio discriminatorio e avvilente nei confronti di tutte le persone con disabilità, temporanea o permanente, verso le quali esistono ancora oggi pregiudizi e stereotipi offensivi molto più di quello che immaginiamo. Per conquistare un linguaggio finalmente rispettoso e inclusivo l’Ordine dei Giornalisti ha pubblicato pochi giorni fa “Comunicare la disabilità. Prima la persona”, un manuale disponibile gratuitamente on line che fornisce indicazioni e suggerimenti per raccontare il mondo della disabilità senza scadere nel pietismo o al contrario nell’offesa. Al lavoro, a cura di Antonio Giuseppe Malafarina, Claudio Arrigoni e Lorenzo Sani, promosso e ideato dal Coordinamento pari opportunità dell’Odg, hanno collaborato anche le giornaliste sarde di Giulia Giornaliste – Gruppo carta di Olbia Francesca Arcadu, Veronica Asara, Sara Carnovali, Caterina De Roberto, Vannalisa Manca e Susi Ronchi. Il lavoro sarà presentato per la prima volta in Sardegna martedì 5 marzo a Sassari nell’ambito di un corso per formazione per giornalisti dalle 14 alle 17 negli spazi della Camera di Commercio.
Le persone disabili sono una parte consistente delle nostre comunità (in Italia una famiglia su dieci ha al proprio interno una persona con disabilità, sia essa un bambino, un anziano, un adulto; a livello mondiale il 20% delle persone ha a che fare con una forma di disabilità) eppure per secoli il linguaggio ha raccontato soltanto l’altra parte, quella maggioritaria, della società: è questa che è stata a lungo considerata “normale” e “abile”, mentre tutto il resto era anormale, diverso, inabile, addirittura ritardato. Oggi, insieme a un’aspettativa di vita più lunga, a più evolute conoscenze scientifiche e al miglioramento delle condizioni economiche e sociali si è diffusa anche una maggiore sensibilità verso le parole che raccontano la società. E non potrebbe essere altrimenti, dato che la comunicazione oggi ci coinvolge e ci invita alla riflessione molto più di prima, anche grazie alla diffusione globale di internet e dei social network.
Come dunque raccontare le notizie e le informazioni che riguardano la disabilità? Il documento dell’Ordine dei Giornalisti parte dall’articolo 6 del Testo unico dei doveri del giornalista (Doveri nei confronti dei soggetti deboli; informazione scientifica e sanitaria) e fornisce gli strumenti più attuali per raccontare la disabilità in tutti i suoi aspetti. Preziosissimo in questo senso il Glossario, con elenco delle parole desuete o discriminatorie: non diremo “cieco” e “non vedente” ma persona cieca, non “sordo” ma persona sorda, non “spastico” ma persona con paralisi cerebrale, con la disabilità che diventa aggettivo e non più sostantivo per definire qualcuno. Assolutamente da evitare sulla stampa i toni sensazionalistici, il pietismo e l’eroismo, gli aggettivi come “speciale” (quante volte leggiamo “ragazzi speciali”, “studenti speciali”, “lavoratori speciali” riferito a persone con disabilità che studiano e lavorano?): considerare come speciale una condizione di vita ordinaria è sbagliato.
Ci sono tra le 68 pagine anche diversi suggerimenti per confrontarsi direttamente con le persone qualunque sia la loro disabilità: mai usare toni infantili o pietisti, mai rivolgersi solo all’accompagnatore, mai pensare di anticipare i bisogni e i desideri dell’altro ma piuttosto chiedere con discrezione; mai pensare alla carrozzina come a qualcosa su cui si è costretti ma banalmente a un mezzo per muoversi.
C’è ancora tanto da fare, considerato che la società in cui viviamo è costruita, anche fisicamente, per le persone senza disabilità. Partire con le parole giuste per raccontarla può essere un buon inizio per abbatterne le barriere culturali e fisiche.
(immagine di svklimkin da www.svklimkin.com)