Tra il 1965 e il 1982, il Ministero della Pubblica Istruzione italiano, in collaborazione con l’associazione Opera Nomadi, avviò un processo di scolarizzazione rivolto a minori rom e sinti basato sulla segregazione in classi differenziali all’interno delle scuole statali. Erano le cosiddette “classi Lacio Drom” (dal romanés, “buon viaggio”), frequentate esclusivamente da bambini e bambine rom e sinti. Dietro un’apparente intenzione inclusiva, si celava una pratica che perpetuava stereotipi e discriminazioni nei confronti di queste comunità.
A riportare alla luce questa pagina dimenticata della storia scolastica italiana è il libro ‘Lacio Drom, Storia delle “classi speciali per zingari”. Rom e Sinti a scuola (1965-1982)‘, scritto a quattro mani da Luca Bravi, ricercatore e docente di storia sociale e della comunicazione all’Università di Firenze, ed Eva Rizzin, ricercatrice all’Università di Verona e direttrice dell’Osservatorio nazionale sull’antiziganismo. Il volume, pubblicato lo scorso maggio ed edito da Ancia, è stato presentato il 22 novembre scorso a Cagliari al Liceo delle scienze Umane De Sanctis Deledda. Durante l’incontro, organizzato dalla docente Franca Rita Porcu in collaborazione con Laura Stochino e Walter Falgio, referenti dell’ISSASCO (Istituto sardo per la storia dell’antifascismo e della società contemporanea), Luca Bravi ha ripercorso questo capitolo buio della storia del nostro paese davanti a un gruppo di studenti e studentesse attenti e sensibili al tema. Ad arricchire l’evento la testimonianza personale della 22enne Clarissa Beganovic, portavoce dei Khorakhané, un sottogruppo della comunità rom presente a Oristano da diversi anni.
L’antiziganismo tra passato e presente
Partendo dalla rivista Lacio Drom (bimestrale edito dal Centro Studi Zingari di Roma) e dai documenti dell’epoca, nel libro Bravi e Rizzin evidenziano l’impatto di queste politiche sulla vita degli studenti e delle studentesse segregati, insieme alle implicazioni teoriche e pratiche dell’approccio educativo adottato. Le classi differenziali istituite nel 1965 rappresentavano un modello di esclusione mascherato da integrazione. Sebbene formalmente concepite per promuovere l’istruzione tra le comunità rom e sinti, di fatto contribuivano a rafforzare stereotipi e barriere sociali. Bambini etichettati come “diversi” erano separati dai coetanei e privati di un percorso educativo paritario. Oggi, pur in assenza di politiche così palesemente discriminatorie e vere e proprie barriere fisiche, l’antiziganismo continua a manifestarsi in diverse forme: dall’isolamento sociale nei campi, spesso privi di servizi adeguati, fino alla negazione di opportunità educative e lavorative.
La storia di Clarissa
La persistenza dell’antiziganismo emerge con particolare forza nelle parole di Clarissa Beganovic, che ha raccontato la sua esperienza personale agli studenti e, a margine dell’incontro, a noi di Nemesis Magazine. Nata e cresciuta a Oristano, Clarissa Beganovic è figlia di una famiglia fuggita dalla guerra nei Balcani negli anni Novanta. Nonostante la ricerca di stabilità, le condizioni di vita nei campi destinati ai rom nel nord Italia si rivelarono difficili per i genitori, segnate da episodi di violenza da parte della polizia, difficoltà burocratiche e isolamento sociale. Da qui il trasferimento a Oristano, dove, tuttavia, le difficoltà continuarono. Clarissa ha descritto episodi di discriminazione subiti fin dalle elementari, quando i cori razzisti e l’isolamento iniziarono a ferirla profondamente. “Ho conosciuto il razzismo vero e proprio alla fine delle elementari – ha raccontato Clarissa Beganovic – Prima di allora, la vita nel campo e l’appartenenza alla comunità rom era la normalità. Mai avrei pensato di poter essere esclusa per questo, finché un giorno un compagno di classe vide mio padre prendermi da scuola col suo camioncino. Fu proprio a scuola che scoprii di essere ‘zingara’ e lo scoprii nel modo peggiore”. Il pregiudizio divenne una costante, spesso ignorato o tollerato dagli stessi insegnanti. “Nonostante il desiderio di continuare a studiare, gli ostacoli sono stati enormi, tanto da indurmi a lasciare il percorso scolastico tradizionale per tentare con le scuole serali, dove ho incontrato nuove forme di discriminazione, stavolta da parte di adulti”. Purtroppo, la discriminazione ha segnato anche la sua esperienza professionale: “a lavoro non mi permettevano di stare nell’area comune per i dipendenti. Il mobbing e il razzismo non si fermano mai”.
Nonostante tutto, la giovane ha trovato un sostegno fondamentale nella sua comunità e in alcune realtà locali. A Oristano un comitato di cittadini, composto da avvocati, insegnanti e professionisti, ha sostenuto la sua famiglia, aiutandola a resistere e a trovare spazi di dialogo, primo fra tutti il Centro servizi culturali della città. Oggi Clarissa è portavoce della sua comunità e collabora da due anni con l’ Associazione sarda contro l’emarginazione (ASCE), un’organizzazione impegnata da 35 anni nella lotta contro la discriminazione sociale. Grazie a questa rete di solidarietà “ho conosciuto Luca Bravi, contribuendo alla sua ricerca sui campi nomadi e sulla memoria storia dei rom e dei sinti in Italia. Grazie a lui e all’ASCE sono riuscita a portare la mia voce fuori dai confini del campo partecipando a diverse conferenze”.
Un podcast per sensibilizzare
La storia delle classi differenziali e quella personale di Clarissa offrono una testimonianza potente e dolorosa di come l’antiziganismo e il pregiudizio radicato nei confronti di rom e sinti continuino a permeare la nostra società. Se l’educazione può rappresentare un potente strumento di emancipazione, quando mal gestita o accompagnata da intenti discriminatori rischia di divenire un mezzo di esclusione, amplificando le disuguaglianze anziché superarle. In questo contesto, l’incontro al Liceo De Sanctis Deledda non rappresenta solo un momento di riflessione, ma un vero cambio di paradigma nel sistema educativo. Oltre agli interventi di Luca Bravi e Clarissa Beganovic, l’evento ha dato spazio a un dibattito conclusivo partecipato con studenti e studentesse, e ha visto la creazione di un podcast sui pregiudizi e le discriminazioni che ancora colpiscono rom e sinti. Quest’ultimo, realizzato da due studentesse, Martina Vacca e Martina Campani, diventerà un episodio di un podcast ancora in fase di progettazione, incentrato sui genocidi del Novecento, tra cui la persecuzione nazista di rom e sinti. Un’iniziativa che, grazie a un approccio intergenerazionale e interdisciplinare, segna un passo importante per sensibilizzare le nuove generazioni su temi storici e sociali spesso trascurati. Un impegno non solo per ricordare le atrocità del passato, ma per evitare che queste si perpetuino nel presente sotto forme diverse, più sottili, ma non meno lesive.