Se li si guarda negli occhi e li si immagina in bianco e nero, magari col gracchiare di un microfono a filo, non di ultima generazione, sembra di rivedere un documentario di Silvano Agosti, o di Pier Paolo Pasolini. Poche frasi, in un italiano semplice, più spesso in sardo. Ma non sono le loro voci a parlare. Sono gli occhi. Occhi grandi, piccoli, che però si illuminano all’improvviso di una luce di speranza. Occhi onirici, spiritati. Occhi che hanno tutti lo stesso sogno: piazza del Campo. È quella l’ambizione, quello il desiderio: correre al palio di Siena, scrivere il proprio nome nel firmamento dei mitici fantini sardi in terra toscana.
Tutti hanno presente cosa sia la giostra equestre più famosa d’Italia. Tutti l’hanno vista almeno una volta, almeno di sfuggita, per caso alla tv. Quegli uomini minuti, leggeri ma nerboruti, che quasi spariscono sotto le giubbe colorate, che si dannano come forsennati per spingere i loro destrieri ancora più veloci e nel contempo cercano di non infrangere il loro sogno in una curva presa male. Quello che pochi sanno — senesi a parte, per ovvie ragioni — è cosa ci sia dietro il palio di Siena. Quale il percorso, la fatica, le privazioni, lacerazioni sociali e d’affetto.

È questo che racconta Andrea Deidda con la sua nuovo lavoro “Cara a su ‘entu”, con il vento in faccia (regia e produzione: Andrea Deidda. Produttore associato: Terra de Punt. Produzione esecutiva: Associazione culturale Arvèschida. Aiuto regia: Lucrezia Degortes), che verrà presentato in diversi festival cinematografici, con l’auspicio che in futuro possa raggiungere il grande pubblico delle sale cinematografiche.
Cagliaritano di nascita, seuese di origine e passione, Deidda conferma il suo talento con questo documentario che arriva dopo due lavori apprezzati dal pubblico: il documentario Bar Seui (2019) e Santamaria (2021), un corto più di poesia che di fiction. E c’è un filo rosso che unisce le opere di questo regista e giornalista, classe 1987: il lavoro, la fatica, l’impegno e l’abnegazione per conquistare un sogno. Poco importa che sia la gloria, il riscatto economico e sociale, l’affermazione in città senza mai scordare le radici. Non c’è spazio per soldi facili da influencer, tiktoker, imprenditore digitale o da vincita al Superenalotto: il protagonista è il sudore, l’impegno.

Questo c’è prima degli omaggi con cui i fantini verranno condotti in piazza del Campo dalle dieci contrade che si contenderanno il palio di luglio, che si corre in onore della Madonna di Provenzano: Istrice, Drago, Torre e Chiocciola sono le contrade estratte a cui si aggiungono quelle di diritto: Aquila, Giraffa, Selva, Onda, Nicchio e Tartuca.
Ragazzi giovanissimi, anzi, forze è meglio dire bambini, che hanno respirato sin da piccoli la polvere dei pali dei paesi della Sardegna, con in mente sempre il pensiero fisso di poter correre, un giorno, il palio più famoso del mondo: quello di Siena. E con questo tarlo che Antonio Mula al posto di andare a scuola a Nuoro, partiva dalla sua Oliena con l’intento di proseguire in pullman fino a Ottana, per lavorare in una scuderia. A Siena è diventato Shardana e ha esordito giusto l’anno scorso per la contrada Valdimontone. Così è stato per un vero mito del Palio, Giovanni Atzeni, meglio conosciuto come ‘Tittia’, che quando pesava 35 chili e non aveva nemmeno 13 anni ha corso il palio di Bitti.
Una vita dura quella del fantino. Perché chi pensa che il fantino corra e basta dovrà ricredersi dopo aver visto “Cara a su ‘entu”. La sveglia suona presto, quando ancora è buio, sia in inverno che in estate: 4:30, massimo alle 5, perché poi bisogna andare in stalla per per la “colazione” dei cavalli, che poi vanno preparati, lavati, accuditi. Uno a uno. “E ogni cavallo è diverso dall’altro, non sono tutti uguali”, come sottolinea Antonio Mula, “Shardana”. La mattina è dedicata a loro, ai cavalli da corsa, alla loro preparazione. Dopo pranzo invece si allenano i fantini. “Non c’è mai una fine. Un fantino serio, lavora almeno 16 ore al giorno”, specifica Tittia. Sedici ore al giorno, tutti i giorni, senza Pasqua, senza Natale, senza ferie.
Arrivano a Siena sapendo che li attenderà questo, eppure sono contenti. Fanno sacrifici i ragazzini che partono dai paesi della Barbagia, dell’Ogliastra, del Goceano, di tutte le regioni storiche dell’isola per seguire questo sogno. Siena è solo la tappa finale. Prima, spesso, ci sono altre stalle, altre scuderie in Lombardia, a Roma. Qui a soli 14 anni ha iniziato Michel Putzu, che lo scorso anno era stato scelto dalla contrada della Giraffa ma purtroppo è stato sostituito dopo una caduta nella terza prova. Poco più grande di lui, a 16 anni, Stefano Piras “Scangeo” è partito per Varese. Dopo tanti sacrifici è approdato a Siena, dove nel 2018 ha esordito per la contrada dell’Aquila.
Hanno tutti una storia simile questi fantini. E non da oggi. Anche i più veterani come Salvatore Ladu, classe 1958, hanno affrontato le stesse peripezie. “Partire con una scatola con tre panni dentro e ventimila lire in tasca, io ero già il padrone del mondo. Sapevo già che la mia vita era il manovale o il pastore perché tempo di studiare ne avevo poco, voglia meno, di conseguenza l’idea di andare in continente…” E qui è diventato ‘Cianchino’: quarantasei partecipazioni e otto vittorie. O come Sebastiano Deledda, anche lui classe ’58, nato a Lula e sbarcato a Siena: sette pali tra il 16 agosto del 1979 il 1995.

L’idea di affrontare questo tema, ricco di aneddoti, personaggi e storie, a volte rinchiuse nello scrigno di gelosia e riservatezza che contraddistingue le contrade, è arrivato al regista leggendo il libro “Fortza Paris”, di Marco Cheli ed Eleonora Mainò. Deidda racconta con uno sguardo attento e riservato il dietro le quinte del Palio. Le storie, le passioni, che animano i protagonisti. Toglie le giubbe colorate ai fantini fa emergere il loro essere uomini, le loro fragilità, le loro emozioni. Perché ascoltare questi ragazzi raccontare le difficoltà di cucinare una pastasciutta quando erano poco più di adolescenti, a centinaia di chilometri da casa, dai loro genitori, non può che fare tenerezza e creare empatia in chi ascolta. Si sono arrangiati, sono andati avanti, hanno stretto i denti senza mai distogliere l’attenzione e la passione dal loro obiettivo.
Ma non basta il sacrificio, l’abnegazione, l’entusiasmo, la determinazione, la perseveranza. A volte il Palio resta un sogno, magari da rimandare. Come per Paolo Arru, che è tornato in Sardegna durante la pandemia, ma continua a preparare cavalli all’ippodromo di Sassari, con il pensiero fisso a Siena. O Andrea Sanna, che continua ad allenarsi inseguendo il suo sogno. O Giovanni Puddu, che ha calpestato la terra senese nel 2015 ed è diventato padre lo scorso 24 ottobre: si sveglia sempre alle 5 per andare in scuderia.
Sono ragazzi che stanno imparando a loro spese, quel detto che un vecchio fantino disse a Ladu ‘Cianchino’: Guarda che il pane del Palio è duro sette croste”. Loro lo sanno ma non smettono di affrontare la vita e il sacrificio “cara a su ‘entu”, con il vento in faccia.
