Era il 22 gennaio del 1891 quando l’ufficio di stato civile del comune di Ales, poco più di un migliaio di abitanti nell’Oristanese, registrava la nascita di Antonio Sebastiano Francesco, figlio di Francesco Gramsci e Peppina Marcia. Veniva al mondo 130 anni fa uno dei pensatori più lucidi, sensibili e amati della nostra storia recente, filosofo, giornalista, critico letterario, politologo, linguista e fondatore del Partito comunista italiano. Non possiamo sentire la sua voce, ancora oggi considerata tra le più autorevoli del Ventesimo secolo, ma certamente ancora ci parla grazie alle centinaia dei suoi scritti tra monografie, lettere, articoli, quaderni, discorsi e appunti, un patrimonio inestimabile di riflessioni sulla vita, la società, l’economia, l’educazione, la politica, le tradizioni e la cultura, il giornalismo. 130 anni dopo la sua nascita, è tra i nomi più studiati al mondo: la Bibliografia gramsciana, poderosa raccolta degli scritti di e su Antonio Gramsci, registra oltre ventun mila volumi pubblicati in 41 lingue diverse di tutto il mondo.
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La storia personale di Gramsci, Nino come era chiamato in famiglia, è oggi ben nota anche grazie alle notizie che lui stesso ha lasciato nelle sue lettere, indirizzate dal carcere alla mamma, le sorelle e i fratelli, gli amici, e alla preziosa biografia “Vita di Antonio Gramsci” scritta da Giuseppe Fiori, giornalista di Silanus e pubblicata nel 1966 da Laterza.
Un’esistenza come tante in un tranquillo paese dell’interno dell’Isola, Sorgono, se non fosse che la salute del piccolo Antonio era stata minata, da bambino, dal morbo di Pott, che gli deformò la colonna vertebrale e lo rese fragile e cagionevole per il resto della vita. Dopo gli studi a Ghilarza e Santulussurgiu, Nino arrivò a Cagliari per frequentare il Liceo classico “Dettori”, e da qui nel 1911 si trasferì a Torino grazie a una borsa di studio per studenti in condizioni di difficoltà economiche. In questi anni visse poverissimo, afflitto da problemi di salute e da forti mal di testa che ritardarono gli studi; negli stessi anni si avvicinò ai movimenti degli operai e dei lavoratori, si iscrisse al Partito socialista e iniziò l’attività di giornalista come collaboratore di varie riviste e dal 1919 come animatore e in seguito direttore dell’Ordine Nuovo, settimanale di cultura socialista. Il 21 gennaio 1921, dopo i fatti del biennio rosso e della Rivoluzione d’ottobre in Russia diede vita, insieme a Nicola Bombacci, Amadeo Bordiga, Onorato Damen, Bruno Fortichiari e Umberto Terracini al Partito Comunista d’Italia, sezione italiana dell’Internazionale Comunista.
Un anno dopo partecipò al quarto congresso dell’Internazionale comunista a Mosca, a Mosca; qui, in un sanatorio dove era stato ricoverato per problemi di salute, conobbe la famiglia Schuch e le tre sorelle Eugenia, Tania e Giulia, che nel 1923 sposò a Mosca. Pochi mesi dopo fondò a Milano L’Unità, quotidiano del Partito comunista.
Entrò in Parlamento come deputato del Partito comunista nel 1924, ma due anni dopo, in seguito a un attentato a Benito Mussolini, il governo inasprì la repressione delle opposizioni, sciolse i partiti di minoranza e vietò la libertà di stampa dando inizio agli anni più neri del regime fascista. L’8 novembre 1926 Gramsci, perduta l’immunità parlamentare, fu arrestato con l’accusa di attività cospirativa, istigazione alla guerra civile, apologia di reato e incitamento all’odio di classe; due anni dopo il Tribunale speciale fascista lo condannò a vent’anni, quattro mesi e cinque giorni di carcere. Antonio non tornò mai a casa e morì il 27 aprile 1937 a 46 anni in una clinica romana dove era stato ricoverato in gravi condizioni di salute.
Ci chiediamo, a 130 anni dalla nascita, cosa direbbe se ci guardasse oggi. Cosa direbbe della situazione politica attuale, della crisi sanitaria mondiale, dell’emergenza climatica, delle frontiere che si chiudono, delle troppe disparità di classe e di genere in cui viviamo, dell’incolmabile divario tra ricchezza e povertà. Della nuova onda nera che sta attraversando il nostro paese permeata di ignoranza, qualunquismo, razzismo e odio. La risposta a questi mali è facile, la troviamo nei suoi innumerevoli scritti: cultura, conoscenza, curiosità verso il prossimo.
Lo scrive con parole molto semplici in una delle ultime lettere mandate al figlio tredicenne: “Carissimo Delio, mi sento un po’ stanco e non posso scriverti molto. Tu scrivimi sempre e di tutto ciò che ti interessa nella scuola. Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi non può non piacerti più di ogni altra cosa. Ma è così? Ti abbraccio, Antonio”.
(“PCI 100 – Nino 130”, l’illustrazione in evidenza creata in esclusiva per Nemesis Magazine, è di Francesco Sulis)