In fondo, lunedì sera al Teatro Massimo di Cagliari, ci siamo sentiti un po’ tutti brasiliani, trasportati da un repertorio senza tempo che continua a rendere la musica un incantesimo. Canzoni memorabili che Toquinho, un passato indissolubilmente legato all’amicizia e collaborazione con Vinicius De Moraes, regala in un tour messo in piedi per celebrare sessant’anni di carriera di un artista ancora molto amato: sala piena, pubblico entusiasta, e un successo anche per Sardegna Concerti che nell’Isola ne rende possibile l’approdo. E pazienza se lo scorrere degli anni hanno ormai preso il sopravvento su una voce che comprensibilmente arranca, a traghettare gli astanti con quella padronanza del palco e sicurezza propria dei grandi artisti, ci pensa la sua figura, la sua formidabile chitarra, oggi una Yamaha al posto della consueta Di Giorgio, sempre al centro della scena per regalare un ricco campionario di finezze, ammalianti melodie, soluzioni ritmico-armoniche di gran pregio, corde pizzicate senza plettro come vuole la tradizione.
La notte di Antonio Pecci Filho, classe 1946, origini molisane, è un viaggio nella memoria, in quei ricordi che non vanno via. Come quando appena ventenne, Chico Buarque, esule negli anni Settanta nel nostro Paese per sfuggire alla dittatura militare, lo chiamò per dirgli che in Italia c’era la possibilità di fare concerti. Toquinho volò a Roma, ma poi scoprì che non era vero: il poeta del samba si sentiva solo e aveva detto una bugia.
Accompagnato dal basso di Mauro Martins, dalla batteria di Dudu Pemz e dalla voce di Camilla Faustino, il cantante-chitarrista di San Paulo veleggia tra bossanova, samba, choro, omaggia i suoi maestri più illustri, De Moraes, Gilberto, Jobim, Baden Powell, rileggendo temi arcinoti che scorrono nel segno di una filosofia tutta brasiliana: quella della saudade.
Brani di grande densità emozionale come Corcovado, Garota de Ipanema, Berimbau, O que serà, Contao de Ossanha, Chega de Saudade che Jobim e De Moraes composero nel ’58 e Gilberto incise accompagnando la voce di Elizeth Cardoso in uno stile che marcò la nascita di un nuovo ritmo musicale in grado di fondere il jazz col samba, enfatizzando il legame fra la voce e la chitarra attraverso l’uso del microfono per rendere il suono più intimo, anziché amplificarlo.
Ma oltre ai sempreverdi brasileri, si affacciano anche pezzi italiani del calibro di Anema e core, Roma nun fa’ la stupida stasera, e altri composti con Ornella Vanoni di cui Toquinho consegna Io so che ti amerò e La voglia e la pazzia. Il finale arriva sulle note di Acquarello e Felicidade accompagnate dai lunghi applausi.
Applausi che non sono mancati neanche per gli altri due concerti proposti a Cagliari nel fine settimana. con gli Yellowjackets protagonisti domenica al Teatro Doglio e il trio Fresu-Lussu-Montervino la sera prima sul palco del Teatro Carmen Melis. Ospiti del Culture Festival, la band guidata dal pianista Russell Ferrante (unico sopravvissuto della gloriosa formazione), ha dato vita a una musica jazz apprezzabile sotto più profili: tecnico, scrittura dei temi (di cui uno dedicato a Elvin Jones), capace di emozionare nei cambi d’atmosfera e nelle stratificazioni stilistiche, quanto negli interventi solistici e nell’equilibrio mostrato tra le varie componenti che, oltre a Ferrante, annoverava l’intenso Bob Mintzer al sax tenore, l’incisivo Dane Alderson al basso e il duttile William Kennedy alla batteria.
Di tutt’altro genere il progetto Un anno sull’Altipiano – in guerra qualche volta abbiamo anche cantato (ne abbiamo parlato qui), che inaugurava Insulae Lab. Un viaggio tra parola, temi improvvisati su pedali prestabiliti, composizioni originali, flirt elettronici, basi preregistrate, blues e brani di operetta di Franz Lehar, per ricordare Emilio Lussu a cinquant’anni dalla scomparsa.
(La foto è di Paolo Piga)