Il lavoro dell’artista Stefano Marras, l’esposizione fotografica ‘Il senso di un ritratto’, è stata inaugurata lo scorso 25 marzo, ed è visitabile fino a sabato 1 aprile, tutti i giorni dalle 18.30 alle 20.30 allo Spazio Hermaea in via Santa Maria Chiara a Pirri.
Le forti emozioni, si sa, sono sempre fonte di ispirazione. E a volte da una sensazione negativa può emergere uno spirito di rivalsa, che diventa a sua volta spunto per un progetto.
Per Stefano Marras sono stati il senso di sradicamento e il turbamento generato dal cambiamento (un trasferimento da Milano in Sardegna in piena adolescenza) a veicolare il processo di trasformazione del disagio in un’espressione più nobile: l’arte.
L’artista, che si avvicina da autodidatta alla fotografia passando da un percorso che lo vede, già ai tempi del liceo artistico, prima grafico e poi studente di archeologia, matura, in questo clima di commistione di diverse forme artistiche, la passione per il ritratto come forma di espressione delle proprie e altrui emozioni.
Il curatore, e collega, Giacomo Pisano, descrive così la mostra: “Non solo la scelta dei soggetti, che sono soggetti espressivi e che hanno delle storie da raccontare, e non semplicemente dei ritratti belli da guardare, ma anche la scelta di inquadrarli con lo sguardo diretto verso l’osservatore, è una scelta quasi politica. Il fotografo ribalta il senso del ritratto, il soggetto fotografico non viene più guardato, ma a sua volta guarda, quindi le parti si invertono. È uno scambio reciproco, è un invito all’empatia, un modo di guardare gli altri delicato, non invasivo, equilibrato. Un invito a riscoprire, o a cercare l’umanità: nelle increspature della maschera che tutti noi portiamo nella vita di tutti i giorni, riconoscere le particolarità degli altri. Un invito quindi a predisporsi ad un dialogo. Non muri, ma ponti levatoi verso gli altri“.
Particolarità della mostra è dunque un punto di osservazione e fruizione che diventa una forma alternativa di comunicazione.
Abbiamo chiesto all’artista di raccontarci la sua personale visione della mostra: “Definisco il mio modo di fare fotografia un atto di ribellione, una scelta da parte mia di non essere indifferente davanti alle situazioni, le persone che incontro, le storie che ascolto. Da decenni viviamo nella società dell’apparenza e abbiamo lasciato che la nostra vita si trasformasse in uno spot pubblicitario. Raccontare il dolore di vivere in questa società quindi, si è trasformato in un atto di ribellione, un momento del ‘vero’. Questo progetto fotografico non è un lavoro chiuso e finito ma un work in progress che via via raccoglie nuovi elementi durante il suo cammino. Capita ed è capitato anche a me in questo caso, che durante un percorso di creazione, emergano altri livelli di interpretazione, altri piani di lettura. Quello di interessante che ho potuto registrare è stato osservare come persone di età, cultura, lingua, etnia, religione ed esperienze di vita differenti, parlino in realtà con lo stesso linguaggio emotivo, azzerando di fatto qualunque diversità. Così lontane, così unite tra loro, queste persone ritratte sono qui per rivendicare con energia la propria esistenza.
Stefano Marras, per la sua parte artistica, trae ispirazione dalla pittura del Seicento. I riferimenti che “agitano la sua fotografia”, come lui stesso dice, sono Caravaggio, Vermeer e Rembrant. Nella fotografia traspone il frutto di indagini e rielaborazioni delle suggestioni prodotte dalla luce, tentando di evitare banali repliche scolastiche. Per la parte culturale, invece, cita i fotografi della grande depressione del ’29 come Dorothea Lange e Walker Evans, che indirizzano il suo linguaggio fotografico tematiche sociali spesso tristemente attuali.
L’ambizione dell’artista è quella di non di offrire ai visitatori una mera visione di immagini fotografiche, ma far sì che gli stessi ne ricavino delle suggestioni tramite una connessione diretta con l’immagine che osservano, trovando un frammento di sè dentro gli occhi di ogni ritratto.
“Le mie fotografie sono nude – prosegue Marras – non presentano vetro protettivo e tantomeno etichette con dati di scatto”.
Immagini, espressioni e parole che si mescolano e si ritrovano, come sempre accade, nella libera interpretazione dell’osservatore, il cui sguardo può essere guidato in molteplici direzioni.