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Ambiente e biodiversità, il calabrone orientale arriva in Sardegna. L’entomologo Alberto Satta: “Stiamo valutando i rischi per l’uomo e gli ecosistemi”

Di Alessandra Sias
05/10/2024
in Ambiente
Tempo di lettura: 5 minuti
Ambiente e biodiversità, il calabrone orientale arriva in Sardegna. L’entomologo Alberto Satta: “Stiamo valutando i rischi per l’uomo e gli ecosistemi”

Passeggiando per Cagliari e per i suoi giardini è sempre più frequente la possibilità di osservare il calabrone orientale (V. orientalis). E’ un imenottero aculeato, cioè dotato di pungiglione, il cui corpo è glabro, dal colore rosso ed una vistosa banda giallo – chiaro sull’addome. E’ originario dell’Africa Settentrionale, dell’Europa meridionale e dell’Asia sudoccidentale e vive da sempre in Calabria, Campania e Sicilia; in Sardegna i calabroni sono stati sempre assenti ma nel 2010 nella zona di Olbia è stato osservato per la prima volta il calabrone europeo (V. crabro) e nel 2021 a Cagliari quello orientale.

Queste specie, che non conosciamo, quanto possono essere pericolose per l’uomo? Che tipo di impatto possono avere sui nostri ecosistemi, e in particolare sulle api già minacciate dal cambiamento climatico? Ne abbiamo parlato con Alberto Satta, entomologo e professore associato alla Facoltà di Agraria dell’Università di Sassari che da qualche anno partecipa al progetto AliemVigil, finanziato dal programma europeo Interreg Italia-Francia Marittimo che coinvolge anche Toscana, Liguria, Corsica e il sud della Francia, il cui obiettivo è la creazione di una rete transfrontaliera per la gestione delle specie esotiche invasive (IAS).
“Non ci sono dettagli precisi su come siano stati introdotti – ci racconta Satta – ma il fatto che, per entrambe le specie, le prime segnalazioni siano pervenute da zone vicine ad aree portuali lascia intendere che il loro ingresso sia avvenuto tramite il trasporto accidentale di regine fecondate attraverso merci (legname ad esempio) o veicoli. Le isole sono particolarmente vulnerabili a queste introduzioni”.

Il ciclo delle colonie

“Si tratta di specie sociali che formano colonie – racconta Satta – più o meno numerose e complesse, composte da diverse centinaia di individui. Sono società che durano solo per una stagione, ossia un anno”. Il ciclo della colonia, sottolinea l’entomologo, inizia in primavera con la fondazione da parte di una regina fecondata, e termina nell’autunno o inverno successivi con la morte della maggior parte dei suoi membri. “In primavera, la fondazione delle nuove colonie inizia ad opera delle femmine svernanti (regine) che sono state fecondate l’autunno precedente e che hanno trovato rifugio per l’inverno in un tronco cavo, una cavità nel terreno o in una struttura artificiale: qui la regina inizia a costruire un piccolo nido di materiale simile al ‘cartone’, ottenuto masticando fibre vegetali mescolate alla saliva, dando così forma alle prime celle esagonali. Quindi la regina inizia a deporre le prime uova nelle celle, che si schiudono in larve dopo pochi giorni. Si occupa di nutrire le larve con insetti e cibo masticato fino a quando non si trasformano in pupe. Le pupe si sviluppano in operaie adulte nel corso di circa 2-3 settimane. Con la nascita delle prime operaie, il ruolo della regina cambia: da quel momento si concentra esclusivamente sulla deposizione delle uova. Le operaie, tutte femmine sterili, si dedicano alla costruzione e all’ampliamento del nido, a nutrire le larve e alla difesa della colonia. Le larve che si sviluppano nelle celle a partire dalla fine della primavera sono destinate a diventare maschi e future fondatrici. I maschi sono i primi a sfarfallare, verso la fine di luglio, seguiti dalle femmine, che limitano la loro attività a scambi di cibo con le larve in allevamento e a riposare sul retro del nido. Maschi e femmine di colonie diverse si incontrano fino alla fine dell’autunno nei siti di accoppiamento. Successivamente, le regine fecondate trovano luoghi adatti per lo svernamento. Con l’arrivo del freddo, inizia il declino della colonia originaria, che culmina con la morte delle operaie e della vecchia regina”.

I pericoli per l’uomo: cosa fare se incontriamo un calabrone?

I calabroni possono pungere se si sentono minacciati. Le punture sono dolorose, possono causare gonfiore e arrossamento e provocare reazioni allergiche pericolose in persone particolarmente sensibili. “Se si avvistano calabroni- sottolinea professor Satta – è importante rimanere calmi e non compiere movimenti bruschi. Gli atteggiamenti aggressivi possono spingere l’insetto a pungere. Inoltre, è bene evitare di disturbarli mentre sono in cerca di cibo e non tentare di catturarli o ucciderli, in quanto ciò potrebbe scatenare una reazione difensiva. I rischi maggiori si corrono in prossimità dei nidi, dove i calabroni possono adottare un comportamento difensivo più aggressivo. Nei luoghi in cui si osserva una presenza significativa di calabroni è consigliabile muoversi con cautela e, in caso di individuazione di un nido, allontanarsi rapidamente dalla zona. I soggetti a rischio, ovvero coloro che sanno di essere allergici al veleno degli imenotteri, dovrebbero evitare di frequentare aree ad alta presenza di questi insetti e, in ogni caso, munirsi di un farmaco salvavita per prevenire le gravi reazioni allergiche in attesa di raggiungere un presidio sanitario”.

I pericoli per l’ecosistema e per le api

La V. crabo e la V. orientalis sono onnivore. Quali rischi corre il nostro ecosistema? “I rischi derivanti dall’introduzione di specie aliene come i calabroni possono essere molteplici. – spiega ancora Satta – Si pensi alla competizione con le specie autoctone, la predazione di insetti utili, e l’introduzione di nuovi agenti patogeni che possono danneggiare le specie locali”.

La V. crabro, dalle osservazioni condotte tramite il progetto AliemVigil dell’Università di Sassari, non sembra rappresentare un pericolo significativo per gli alveari e le api da miele hanno sviluppato efficaci comportamenti di difesa. La V. orientalis invece ha un atteggiamento più aggressivo verso le api. “Tuttavia – prosegue l’entomologo – è prematuro trarre conclusioni riguardo all’ impatto di questa specie sugli alveari. Sono in corso attività per valutarne il reale pericolo”.

Grazie al progetto AliemVigil, conclude Satta “È stato inoltre sviluppato un modello matematico-statistico per analizzare le potenzialità di espansione della vespa crabro nel territorio regionale, considerando non solo delle attuali condizioni climatiche, ma anche le proiezioni future in relazione ai cambiamenti climatici previsti nei prossimi 20-40 anni, e sono in corso attività per valutare il reale pericolo rappresentato dal calabrone orientale per gli alveari”. A disposizione delle associazioni di apicoltori, il Dipartimento di Agraria ha messo a punto un questionario che ha l’obiettivo di raccogliere i pareri di coloro che sono direttamente coinvolti nella gestione di questo potenziale rischio. I cittadini e gli apicoltori sardi sono invitati a segnalare tutti gli esemplari sospetti attraverso la pagina Facebook Monitoraggio V. crabro in Sardegna, gestita dalla Michelina Pusceddu, ricercatrice del Dipartimento di Agraria, che da anni studia il fenomeno delle invasioni di calabroni in Sardegna.

In foto, V. orientalis, immagine di Gideon Pisanty da Wikipedia

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