Forse non tutti sanno che…
Vi ricordate quella rubrica della Settimana Enigmistica che si intitola così? Era, e forse lo è ancora, piena di cose curiose come quelle che ho trovato sul rosario.
Ho la strana idea che non tutti sappiano cosa si celi dietro ai grani del rosario e alla sua recitazione. Lo scopo di tale oggetto è del tutto simile a quello del mālā buddhista e induista, cioè enumerare i mantra, o le preghiere nel caso del rosario.
Un bel po’ di tempo fa un amico buddhista mi disse che passare il mālā tra le mani aveva la funzione di mantenere sveglio il recitante attraverso lo sfregamento della collana, dal momento che la recitazione ripetitiva poteva indurre sonnolenza. Non so se questa spiegazione fosse vera o valesse solo per lui, sta di fatto che l’oggetto in sé, rosario compreso, fa da testimone alla propria presenza.
I grani del rosario, per esempio, ti ricordano cosa stai facendo, cioè pregare, quale preghiera venga dopo e che significato abbia. Tenere la collana tra le mani riporta al qui ed ora, tracciando allo stesso tempo un percorso di senso offerto dalle preghiere o dai mantra.
Nel caso del rosario, ogni dieci grani ve n’è uno più grosso, come se fosse un punto di sosta e al contempo ripartenza, un passaggio nei misteri. Nel rosario sono quattro: misteri gaudiosi, luminosi, dolorosi e gioiosi. Tre su quattro sembrano avere un’accezione positiva come contrappeso ai misteri dolorosi.
Misteri? Sono rappresentati dai quattro grani più grossi nel rosario. I misteri gaudiosi riguardano il momento in cui l’angelo appare a Maria per annunciare la nascita di Gesù, quando lei fa visita a sua cugina Elisabetta, la nascita di Gesù, la presentazione di Gesù al Tempio e Gesù che parla con i dottori della Legge nel Tempio. Non è questa la sede per una disamina dei misteri, basti dire che fondamentalmente riguardano la vita di Gesù, i suoi miracoli, la predicazione e la morte. La recitazione del rosario, infine, segue uno schema ben preciso, con un’apertura rituale.
Ci sono due cose che colpiscono la mia mente: una è l’aspetto della presenza di sé. L’altra è recitare con intenzione attraverso questioni misteriose e incomprensibili alla nostra coscienza. Un angelo che appare a una donna per dirle che darà alla luce un bambino, per esempio. O come sia possibile che siffatto bimbo alla sola età di dodici anni tenga testa ai dottori nel Tempio.
Insomma noi accettiamo di dare tempo, spazio e dedizione a un corpus di conoscenze indirette che sono del tutto incomprensibili e solo diventate famigliari perché trasmesse nei secoli dei secoli. Immaginate anche quanto incomprensibili siano le parole dei mantra in sanscrito o in tibetano antico che molti occidentali recitano, godendo però del suono e dell’effetto trascendentale che tutto questo produce.
È interessante mantenersi presenti verso qualcosa che è misterioso. Sembra un paradosso alla nostra mente concreta, ma probabilmente è vitale per la nostra mente astratta che, invece, può captare segnali di altra entità energetica.
Certamente l’effetto della presenza di sé, al di là di ogni credo religioso o filosofico, è auspicabile data l’enorme confusione nella quale viviamo e la mancanza di contatto con noi stessi. Dedicarsi ai misteri, a enunciati che ripetiamo ma di cui non conosciamo il significato, è segno di follia. La follia buona. La follia e la speranza. La ricerca di un contatto con l’imperscrutabile che è anche il luogo nel quale collochiamo Dio, o chi per esso.
È incredibile quanto bisogno abbiamo di sapere e quanto continuiamo a vivere nell’ignoranza ma è bellissimo vedere che ci affidiamo a qualcosa di più grande di noi, che quindi in qualche angolino del nostro essere ancora esista una tendenza a rimettere in una sapienza più allargata la nostra umile esistenza.
R come Rosario ma forse, e molto di più, R come Ribaltamento.
Ogni volta che viviamo follemente attraversando paradossi che così ci appaiono a causa della nostra carente comprensione del reale, ribaltiamo i piani della nostra coscienza e ho come l’impressione che questo movimento faccia piuttosto bene.