Non voglio parlare della resilienza. Ma lo farò.
È la seconda volta nell’Alfabeto Interno che una lettera mi porta una parola che farei a meno di affrontare. Ma ho promesso a me stessa che avrei scritto di ciò che inequivocabilmente si fosse “messo in figura”, cioè mi si fosse parato davanti nei suoi contorni talmente definiti e chiari da non potergli voltare le spalle.
Come potete vedere sto nicchiando, prendo tempo, non ho iniziato ancora a scrivere nulla sulla resilienza, sto facendo come una specie di pre-contatto con il “come mi sento” davanti a questa parola, avverto del disagio misto a eccitazione, lo sento anche a livello fisico, un piccolo vortice alla gola, il respiro che è un po’ trattenuto, poi lentamente entro nel pieno contatto di questa perturbazione e comincia a succedere un barlume.
Scrivere di resilienza è quasi peggio che aver scritto sul narcisismo, odio dover fare specificazioni da secchiona stile Hermione Granger: “Non è Vingardium Leviosà ma Vingardium Leviòsa”, ve la ricordate in Harry Potter e La pietra filosofale ?
Grazie al pieno contatto, trovo un modo per affrontare la faccenda.
In sostanza sto proprio mettendo in moto la mia resilienza. Trasformo l’urto dell’energia del disagio in energia per fare, in questo caso per scrivere.
Ma il cerchio non si chiude qui, non ho ancora concluso l’esperienza. Non almeno fino a quando non avrò portato a compimento la sfacciata richiesta della R, dirvi cosa ne penso dell’uso del termine resilienza, oppure cosa sia, a che diavolo serva.
È molto bello che termini specialistici entrino a far parte di un lessico comune, ancor meglio se lo fanno di diritto, con cognizione di causa, se l’uso è poi corretto.
La resilienza è una caratteristica dei materiali, precisamente se ne parla in metallurgia. Per un metallo la sua resilienza è la capacità di resistere agli urti senza danneggiarsi, è il contrario di fragilità. Ed è la capacità di assorbire l’energia dell’urto.
In psicologia ci si riferisce alla capacità dell’essere umano di superare momenti molto difficili.
Il significato del termine resilienza, dal verbo che in latino è resilire, re-salire, diventa saltare, balzare, ripercuotersi.
Mettiamo assieme queste cose e abbiamo che la resilienza è la risorsa del limite generato in noi dalla fragilità. Essere fragili è un limite? Può esserlo se ci rompiamo a ogni piè sospinto, se ci spacchiamo in tanti pezzi che rimangono poi frammenti disgiunti.
Se invece abbiamo la capacità di resistere all’urto, abbiamo anche la speranza di farcela. Ma resistere in senso stretto è potenzialmente dannoso, soprattutto se la resistenza assume il carattere del farsi rigidi e innalzare muri protettivi. In questo modo creiamo solo nuove superfici con le quali aggirarci nella vita incontro a conflitti e nuovi urti.
La resilienza è la capacità di assorbire l’urto, meglio ancora di assorbire l’energia dell’urto. È bellissimo ed è il cuore di questa abilità che ci siamo resi conto di poter sviluppare.
Assorbire l’energia dell’urto. In questo modo facciamo il carico di energia che da distruttiva diviene un potenziante.
La resilienza è una capacità trasmutativa, di grande valore adattivo, non è sopportare tutto, essere devastati dal dolore e tutto sommato sopravvivere. La resilienza è la qualità della nostra lega interiore, si sviluppa in seguito a consapevolezza e presenza.
Questo termine è sempre più usato per trasmetterci l’idea che nonostante la vita sia ogni giorno più triste e difficile, con maggiori e clamorosi divari tra persone, impoverita sotto tutti i punti di vista, noi siamo ancora vivi.
Ma dovevamo occuparci della sopravvivenza quando la nostra coscienza era poco più estesa di quella di un animale, la nostra unica preoccupazione, della cui importanza non eravamo nemmeno consapevoli, era finire la giornata con la pancia piena, attorno al fuoco e al riparo. Oggi le cose sono ben diverse, abbiamo anche altre parti di noi da far sopravvivere e, se non oso troppo, da far prosperare. Prosperare? Esattamente. Le condizioni sempre più disperanti in cui le decisioni umane cercano di gettare l’umanità stessa, hanno il principale effetto di farci accontentare di livelli sempre più bassi di esistenza, quando invece siamo qui per crescere e diventare maestri, non per regredire alla scuola materna della vita.
Se sei resiliente, sei una persona che sa trasformare la potenza dell’urto di alcuni eventi della vita per continuare a vivere nella direzione dell’abbondanza.
Non accettare di vivere in sempre maggiori ristrettezze, trasforma l’energia dei momenti bui in luce.
(Foto di Eric Prouzet)