Non è possibile scrivere qualcosa su questo tema senza incorrere nelle ovvietà più noiose.
Ma noi ci occupiamo dell’ovvio perché ciò che è ovvio spesso lo è diventato a causa dell’inerzia affettiva e cognitiva cui siamo sempre più soggetti.
Ad esempio: non è forse ovvio amare?
Ebbene, nonostante lo sia, ci riusciamo davvero?
Ovvio non significa che l’ovvio si realizzi automaticamente, anzi mi pare che ovvio sia l’etichetta incollata sopra ciò di cui abbiamo smesso di occuparci.
Cosa significa ovvio?
Per tutta una serie di passaggi linguistici derivati dal latino, da avverbio a sostantivo e fino ad aggettivo, ovvio è ciò che ci viene incontro, in effetti è quanto ci si para davanti.
Abbiamo le cose sotto i nostri occhi ma, più spesso di quanto si possa immaginare, non le vediamo.
Forse ovvio è sinonimo di lampante, qualcosa che produce un lampo, talmente luminoso che ci acceca e per questo non riusciamo a distinguerne i contorni.
Magari il motivo del non riuscire nelle ovvietà è dovuto proprio a una forma di cecità transitoria che come uno scotoma visivo ci toglie la vista di una parte del campo visivo.
Oppure, come sostiene il compianto Fritz Perls, è la negazione che ci rende ciechi a ciò che abbiamo davanti e questo introduce le nevrosi nella nostra vita, perché la negazione è l’origine della nevrosi. E nevrosi è uno stato di mal-essere.
Negarsi, ovvero negare se stessi a se stessi, conduce al malessere. La condizione di benessere consiste nell’essere ciò che siamo.
Ecco perché ci dobbiamo occupare dell’ovvio caduto in disuso, perché tutti noi pensiamo di essere ciò che siamo quando, nella maggior parte dei casi, siamo incagliati in ruoli, schemi e doveri che non abbiamo nemmeno minimamente scelto.
Per essere davvero sani dobbiamo realizzare l’ovvio, ciò che abbiamo davanti perché è quanto ci chiede di essere messo in atto, è la figura che si staglia chiaramente sullo sfondo. Ma noi, ciechi alle nostre necessità emergenti, perché spesso distratti a guardare sempre un po’ più in là, andiamo alla ricerca di quanto possa essere eccezionale. Non siamo riusciti a capire che ognuno di noi è l’eccezione che conferma le regole della vita, non è necessario cercare di essere sempre più in là perché la nostra vita è proprio vicino a noi, e le cose che ci chiede di realizzare hanno origine accanto, se non dentro. Magari ci porteranno lontano, o in alto, ma la loro sorgente è presso noi stessi, nel presente.
Oh, il presente! Lo sconosciuto, il tempo verbale meno usato in assoluto.
Diciamo lo farò, ci sarò, arriverò, ti amerò, ci penserò, oppure avrei fatto, avrei detto, avrei preferito, avresti potuto, sarebbe andata meglio se, passati e condizionali, futuri ipotetici. Quindi passati rimpianti che ci fanno abbassare l’umore, condizionali che tiranneggiano continuamente portando il giudizio impietoso su quanto abbiamo fatto e cosa avremmo, invece, dovuto fare, e futuri recanti ansia.
Il presente è il tempo del potere, il potere personale, se ci pensate tutto ciò che è in nostro potere è esattamente nell’adesso.
Il presente crea il passato ed è il passato del futuro. Tutta la tua vita, tutto il tuo ben-essere, il tuo essere globale che sta bene ed è in salute, dipende solo da ora. Ed è nell’adesso, proprio qui dove ti trovi in ogni attimo presente, che hai davanti a te ciò che è massimamente importante, l’ovvia versione di te, così chiara e lampante che se solo ti fermassi a guardarla, ogni attimo potresti realizzarla, realizzare la migliore versione di te.
Non ti sto dicendo che sia una cosa facile, ma sono sicura che sia possibile e se solo tu fossi qui presente, nel potere della tua più profonda essenza, prosperità e pace sarebbero la tua dimora.
(Foto di Jeremy Perkins)