B come Benevolenza
Avrei di certo potuto scegliere qualche altro termine per B.
Che so, B come Bacio, come Benessere, Beatitudine, Bellezza.
Invece, nel mio torrente sanguigno girava e girava proprio la benevolenza che, a dirla tutta, facilita il bacio, il benessere, la beatitudine e la bellezza.
Questa è una parola facile. A scuola ci hanno insegnato che per comprendere certi termini un primo passo è quello di scomporli: bene e volenza, volere il bene.
Non è bellissimo?
Volere, che è retto da entrambi gli ausiliari avere ed essere. Qualcosa di totale.
Il volere appare dunque come onnicomprensivo, agisce attraverso appropriazioni (avere) e tramite essenze (essere).
Bene ha due significati: buono e beare. Il bene è anche molto tangibile, pensiamo ai beni di prima necessità.
Beare è l’atto di rendere felice.
Quale primaria necessità dovremmo avere se non quella di essere felici e rendere felici?
Pensate a quanto meraviglioso possa essere un bacio dato e ricevuto nella felicità.
O a quanto siamo belli quando felici. Non vi è mai capitato che vi dicessero “ma come sei raggiante!”? Magari proprio quel giorno e in quel momento in cui vi siete sentiti incredibilmente felici, ed eravate belli e stavate bene.
Non è forse beato chi sta bene?
Pensiamo a coloro che fanno il bene, che vogliono il bene, che attirano il bene, che spargono il bene.
Ma di cosa stiamo parlando?
Devo essere impazzita!
Cosa è il bene?
Fintanto che si parla del pane, un litro di latte o ciò che possediamo, magari possiamo intenderci.
Ma sul bene, quello più astratto, iniziamo a dover trovare un accordo lessicale.
Io vi dico cosa sia per me il bene.
Il bene è sapere per se stessi cosa contribuisce a un clima interiore di armonia.
Il bene è sapere quale sia per il prossimo ciò che contribuisce al suo clima interiore di armonia.
Abbiamo dei problemi.
Ne abbiamo due esattamente e sono anche piuttosto grossi.
Innanzi tutto la maggior parte di noi non ha idea, se non pallidamente, di cosa gli sia necessario per mettere in equilibrio le parti di sé e qui il riferimento è all’armonia interiore.
Come si fa? A volte pensiamo di sapere tutto di noi, di conoscerci per davvero ma molto spesso questa sensazione è il frutto di un chiacchiericcio interiore e niente di più.
La mia proposta è sempre stata quella di procedere con una reale conoscenza di se stessi, è l’unica strada, tra le molte percorse, che trovo efficaci. Alla fine di questo alfabeto interno ne avrete la nausea, forse, ma non conosco altro mezzo se non quello del “Nosce Te Ipsum” di delfiana memoria (sarebbe difatti meglio riportare l’iscrizione del tempio di Apollo in greco antico: γνῶθι σαυτόν, gnōthi sautón, che tra l’altro ha un suono bellissimo).
“Conosci te stesso”, e poi qualcuno ha detto che questo imperativo sarebbe seguito dalla frase “e conoscerai l’universo e gli dei”. Magari con il premio della conoscenza delle “cose alte” saremmo maggiormente inclini ad un percorso di reale conoscenza di noi stessi. A me intriga e credo avrebbe anche degli interessanti risvolti pratici.
Questa proposta dovrebbe essere gradita ai viaggiatori, a coloro che appena finito un viaggio stanno già pensando al prossimo e questo genere di persone sa bene quanto viaggiare apra la mente, e già che ci siamo, anche il cuore.
Immaginate di affiancare ai vostri viaggi fisici anche qualche bel viaggetto trasparente, quello dentro di voi, a vedere nei vari continenti interiori che succede, magari scegliendo una nazione alla volta e poi minuziosamente dentro le città, i quartieri, le usanze, i canti, i balli, la cucina, la cultura, la lingua.
Provate a vederla così. In fondo viaggiare anche dentro se stessi è altrettanto entusiasmante.
Certo, ci possono essere delle criticità, come nel viaggio fisico: perdo un volo, mi derubano, ho un’indigestione, mentre sono altrove mi svuotano casa o muore il mio cane. Ecco, succede, anche nei viaggi interiori, magari mentre siamo seduti al tavolino del caffè più bello della nostra interiore Piazza del Campo, mentre osserviamo il digradare di quella bella pavimentazione e c’è un sole spettacolare.
Sono i rischi del viaggio. Ma ci sono molte più probabilità di ricchezza che di impoverimento o di imprevisti sgradevoli. Se non altro le statistiche ci confortano: ci sono più benefici che sfortune nel viaggiare.
Così è per i viaggi interiori. Qualcuno trova l’amore della sua vita, riceve una interessante proposta di lavoro, si riempie gli occhi di bellezza e la pancia di cose buone e nuove, cambia prospettiva, e tornando a casa la vecchia visione è più ampia.
E tutto questo per il bene?
Esattamente. Più ti conosci e più sai cosa sia il bene per te.
Il secondo problema è il bene del prossimo.
Il livello del percorso si fa più difficile.
Possiamo fare il bene del prossimo nella misura in cui siamo agevolatori di qualcosa che l’altro sa essere bene per se stesso. Il bene del prossimo è relativo, mai assoluto. Non esiste un bene che vada bene per tutti. Saper ascoltare e capire cosa sia bene per te spesso è distante da ciò che è sapere bene per me.
Ci vuole flessibilità e la generosità di dare a te ciò che magari per me è fuori discussione ma a te serve proprio quella cosa lì.
Il finale di tutto questo è: immaginate di riuscire a fare il bene di qualcuno mentre tenete a mente il bene per voi.
Qui siamo al massimo della benevolenza: faccio bene a te mentre mantengo il bene per me e questo facilita il bacio, il benessere, la beatitudine e la bellezza.
(Foto di Emanuela Picone)