Giornalista, talent scout, critica, mentore. I tanti volti di Alessandra Menesini hanno accompagnato eventi, mostre e carriere degli artisti sardi nel loro percorso alla scoperta del mondo. Alle spalle di questa donna minuta ed elegante molti anni spesi tra atelier, botteghe, gallerie, musei, centri culturali e in qualsiasi altro luogo dove l’arte si manifestava, neanche avesse ricevuto il segnale sul cielo come Batman.
Firma storica de L’Unione Sarda ma non solo, Alessandra Menesini è assidua ricercatrice dell’identità artistica isolana attraverso lo studio dei grandi maestri, background necessario per proiettarsi nella contemporaneità e affacciarsi con curiosità e occhi puliti alle novità del panorama sardo. Tra le sue attività infatti, oltre alla curatela di mostre e rassegne, c’è un fitto lavoro di indagine sotteranea spesa a scoprire e svelare nuove interessanti realtà. Il segreto della sua presenza costante a braccetto dell’arte di qualità è dovuto alla semplicità con la quale si rapporta agli artisti e agli spazi, in nodo naturale, lontano da cliché e sfoggio di cultura.
Come è nata questa tua passione e quando la hai trasformata in un lavoro?
Ho sempre visitato mostre e musei, in qualunque luogo abbia avuto la fortuna di capitare. Mi è servito a immagazzinare immagini e concetti. Ma il mio sguardo è cambiato quando sono entrata a far parte del Centro Man Ray, formidabile palestra. Nella galleria di Via Lamarmora a Cagliari ho conosciuto una moltitudine di artisti e ho imparato i segreti dell’allestimento. Ho cominciato a scrivere e a pubblicare grazie a Marco Manca, all’epoca responsabile delle pagine culturali de L’Unione sarda.
Stai lavorando a qualche progetto in particolare?
Sì, ho alcuni programmi molto belli e variegati. Una grande mostra e svariate curatele e collaborazioni. Tra l’altro la presentazione di alcune opere donate ai Musei Nazionali di Cagliari che si sono aperti al contemporaneo, ampliando con scelte giuste le loro già molto pregevoli raccolte.
Conosci le realtà locali, com’è la salute dell’arte in Sardegna?
Ottima direi. In tutta l’isola ci sono molti talenti e volenterosi organizzatori che danno loro luce.Talvolta con troppa indulgenza, occorre dirlo, ma in fondo ciò che conta è scavare in questo territorio che è fecondo ma mal collegato.
I nostri artisti possono competere a livello nazionale e internazionale? Quali i nomi locali che più di recente ti hanno colpita?
Per qualità, di certo. Ovviamente il nostro amatissimo mare non facilita gli scambi e un poco penalizza gli artisti. Molti, infatti, vivono altrove (Milano, Torino, Berlino). Qualche volta affermandosi, altre perdendosi. Ma c’è chi pervicacemente rimane attaccato alle sue radici e non cerca fama e denaro Oltretirreno.
Cosa pensi della questione arte mercato? È vero che ormai tanta arte si produce e non si crea?
Argomento spinosissimo, in cui prevale l’aspetto pecuniario che prescinde dal valore. A determinare le quotazioni sono trattative internazionali che fanno lievitare i prezzi di autori che non meriterebbero tanto onore. Per quanto riguarda il mercato locale, tutti piangono la scomparsa dei collezionisti, delle gallerie e delle committenze. Ma i nostri artisti continuano a creare in prima persona, senza affidarsi alle officine.
Che approccio hai davanti al lavoro di un nuovo artista? Come lo valuti?
Sono sempre curiosa delle persone e delle cose che non conosco. Osservo, domando, ascolto. E rimango interdetta davanti a certe dichiarazioni autoreferenziali. Tento di capire come mai tanti si diano una patente che non corrisponde a niente, né per tecnica né per contenuti. Evito di lavorare con costoro.
L’arte contemporanea croce e delizia di tutti, è elitaria? Al contrario è pop? Come si fa a distinguere un vero pezzo d’arte sentito dall’ennesima cosa fatta per vendere o per suscitare clamore?
Il cosiddetto contemporaneo, che poi è vecchiotto, non è affatto popolare e ancora desta diffidenza ai nostalgici del figurativo. Ma il sentimento è un’altra cosa: mi sono sentita descrivere con toni accorati brutte opere realizzate con amore. È triste dirlo ma i mediocri vendono molto più facilmente degli esimi. Il clamore fa parte del marketing e in genere riguarda le star.