Una favola triste. Una storia di bambine e di lupi, di fratellanza, di amori e tradimenti, di paura e di lotta. Per sopravvivere. Sconfiggere le ombre. Rinascere. ‘X’ di Valentina Mira (Fandango, aprile 2021) è un libro che toglie il respiro. Un’opera potente e svelante, che infrange il silenzio e racconta la ‘cultura dello stupro’. Un incubo divenuto realtà, vissuto sulla propria pelle. La verità, amara e inconfessabile, su una ferita. Immedicabile.
Uno sguardo lucido, feroce quasi, sulla propria fragilità. Il destino già scritto di chi nasce donna in una società patriarcale. Una trama semplice, lineare, che inizia dall’infanzia, dall’età dei giochi, in cui tutto ancora può accadere. Il tempo della purezza, dell’innocenza, appena incrinata dalla percezione di una violenza trattenuta, una tensione sotterranea, che riguarda però il mondo degli adulti. E sfiora inevitabilmente anche i bambini, regalando loro un inconsapevole, confuso sentimento di inquietudine. Una paura sottile, segretamente divorante, come i lupi che invadono la notte, i sogni.
‘X’ è il segreto, il simbolo dell’indicibile. Una farfalla. Una croce. Il segno di una metamorfosi, da vittima a carnefice, da Cappuccetto Rosso a lupa. Un romanzo epistolare, un’autobiografia in forma di lettera per un fratello improvvisamente sparito, senza dare spiegazioni né notizie di di sé, una paradossale confessione che diventa quasi, implicitamente, un atto d’accusa. Tu, fratello, da che parte stai? In una parola, ‘X’ è un libro sullo stupro. “Già la parola è sgradevole, sembra un invito a non pronunciarla: s-t-u-p-r-o. Ha un suono forte, forse troppo – sa di lacerazione – scrive Valentina Mira -. E poi c’è quel tu in mezzo, s-tu-pro; quel tu che sembra un dito puntato e non si capisce mai se, mentre la dici, lo stai puntando addosso a un altro o a te stessa, accendendo un riflettore che non volevi, che nessuna vorrebbe mai”.
Una narrazione struggente, in prima persona, in cui riaffiorano antichi traumi dimenticati, indizi di un male che pervade la società, in cui è fin troppo facile riconoscersi e identificarsi, in quella subdola trama di violenze inflitte o subite, retaggio di una atavica civiltà patriarcale.
“L’idea di ‘X’ nasce dalla necessità di elaborare delle cose che mi erano successe e che hanno ispirato l’ultima parte del libro. Volevo dare un senso, mettere un ordine, inseguire un fil rouge che è quello della violenza maschile – rivela l’autrice -. Volevo riprendermi la mia porzione di verità e speravo che altre ci si rivedessero, perché avevo bisogno di leggere un libro come ‘X’ e non lo trovavo; da quello che mi scrivono anche in privato su Messenger sembra che forse sì, ci sia riuscita (ma magari è un abbaglio, magari è troppo presto per dirlo)”.
Uno stile scarno, essenziale, una scrittura che arriva dritta al cuore, colpisce e lascia il segno, in un’opera che ha anche un valore di denuncia, di superamento dei tabù, in un cammino di crescita, di evoluzione della società. “In un paese, e forse in un mondo, in cui a essere messe sul palco degli imputati sono le persone che provano a ribellarsi a una violenza ingiusta e non chi la agisce, ‘X’ era un tentativo di una piccola catarsi, chissà se riuscito, si vedrà nel lungo periodo credo. Perché l’unica catarsi sensata su certi temi la vedo collettiva e non individuale”.
Raccontare, raccontarsi attraverso una storia così dura, senza sconti e senza filtri, in cui quel che accade è descritto attraverso i pensieri e le emozioni della protagonista, in quello stato irreale di sospensione grazie al quale, come per un’innata strategia di sopravvivenza, un’esperienza dolorosa si trasforma in un film, una proiezione della mente, è un atto di coraggio, una sfida contro le convenzioni della ‘morale’. Un gesto necessario, come ricordano le cronache giorno dopo giorno, in una sequenza allucinante di abusi e femminicidi.
“Sapere che nelle mie parole si stanno rivedendo tante donne e ragazze che mi scrivono per dirmelo mi fa bene, mi fa pensare che scrivere ‘X’ abbia avuto un senso” – afferma Valentina Mira -. Poi, non posso negare che non ci sia stata – e in parte ci sia ancora – una grande, grandissima paura di lasciare il mio nome alla protagonista. Ma lo sentivo giusto, e l’ho fatto lo stesso”.
Un elemento fortemente connotante è il rispecchiamento con il mondo della natura, che acquista una forte valenza simbolica, quasi ancestrale. “Da piccola sognavo il lupo come incubo ricorrente, e in quel caso simboleggiava la violenza maschile, così violenta e imprevedibile, qualcosa da cui guardarsi. Plauto diceva homo homini lupus, portando avanti una visione di società in cui vale solo la legge del più forte, ‘l’uomo è come un lupo per l’altro uomo’. Per cui il lupo ha molti significati negativi nella tradizione archetipica. Poi però nella vita come in ‘X’ ho dovuto e voluto riscoprire un po’ di complessità, e rivalutato il concetto di rabbia e di violenza, anche. C’è la rabbia che cambia le cose, che è quella che indirizzi – al contrario che nella visione plautina – verso l’alto e non verso il basso. Verso l’oppressore, come dico nel libro. ‘X’ è un libro sulla riscoperta della necessità di resistere. Contro il paradigma moscio di resilienza, possiamo essere lupe”.