Dobbiamo pensare alla musica come un elemento della natura, un elemento che nasce, vive e si trasforma insieme a noi, un po’ come l’eruzione di un geyser, un lago, un fiume. Come tutti gli elementi della natura questi possono avere un potere curativo, distruttivo oppure ininfluente. A questo poi abbiamo associato nomi, effetti, sostanze sintetizzate in laboratorio, insomma, un mondo intero.
Questa volta il processo è inverso: si prende la musica e si associa il nome di un famoso medicinale dagli effetti rinvigorenti della libido per una parte della popolazione ed ecco gli svedesi Viagra Boys.
Funziona? Non funziona? Innanzitutto il già solo sentire questo nome può far pensare ad un collettivo trap del sud di Milano, all’epoca avrei scritto che avrei gettato il cd dalla finestra per farci giocare il mio amato Labrador, ora direi che non cliccherei lo schermo nemmeno se pagato. Sbagliando di grosso.
Fortunatamente il pregiudizio non è di casa qua in Nemesis Magazine e difatti, sulla scia anche delle ottime reazioni, dopo solo pochi secondi ho sentito una bella scarica di adrenalina percorrermi il corpo e, sebbene non abbia ancora esperienze con la sintesi di laboratorio, penso che questo nome sia addirittura azzeccato.
Insomma gli scandinavi, come al solito, ci sanno fare, d’altronde questa terra, considerato tutta la combo Norvegia, Svezia, Finlandia, nel corso degli anni è stata in grado di regalarci campioni del calibro di Turbonegro, Hellacopters, Backyard Babies, ovvero sound sporco, grezzo, aggressivo e pulsante e che, insieme a questa new wave del post punk di Idles, Fontaines D.C. dà una bella botta di risalto ai nostri.
Sin dai primi secondi ‘Ain’t Nice’ ci investe con i suoi schiaffoni adrenalinici grondanti di fiumi di birra spillata in libertà, voci sguaiate, fiati fragorosi, ‘Toad’ invece sembra uscita da un frullatore spazio tempo in cui qualcuno dall’alto pare abbia gettato dentro parti di Doors, parti di ‘Tv On The Radio’, tabasco e nitroglicerina, dose anche raddoppiata nella successiva ‘Into the Sun’ , mentre siamo qua a desiderare nel nostro soggiorno ‘Sebastian Murphy’ che urla forsennatamente e devasta virtualmente il nostro soggiorno mentre ci chiede di aprirgli un’altra birra.
Perchè ‘Welfare Jazz’ è questo: un mix di ritmo, sudore, assalti sonori, sculettate ruffiane funky, pogo, una colonna sonora post rissa da pub quando ormai ci siamo dimenticati perché ce le siamo date di santa ragione e siamo per terra a ridere col boccale in mano. Forse una ricetta già assaggiata, soprattutto ora che siamo anche in attesa dell’ultimo degli Sleaford Mods, ma comunque sempre gustosa e a cui non riusciamo a dir di no.
Proseguendo nel viaggio colpiscono la strumentale ‘6 Shooter’, la divertentissima quasi marcia di ‘I Feel Alive’ ed i suoi fiati che son più flatulenze da ubriacone e la mega hit (hot) ‘Girls & Boys’
Chiudono con sorpresa le ballad ‘To the Country’ e ‘In Spite of Ourselves’, duetto con Amy Taylor
In definitiva, qualcosa di forse già sentito, ma non ancora sentito così bene, e si, ripeto, li vorrei qua live a, ripeto ancora, distruggermi il soggiorno, tanto a loro perdonerei di tutto.
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