Come redazione di Nemesis Magazine sentiamo il bisogno di manifestare il nostro sconcerto davanti alle parole della giornalista Incoronata Boccia, vice direttrice del Tg1, che nel corso della trasmissione ‘Che sarà’, condotta da Serena Bortone su Rai2, ha affermato – premettendo di rendersi conto di dire “parole forti” – che riguardo l’aborto “stiamo scambiando un delitto per un diritto“, definendolo “un omicidio“, citando poi a supporto della propria affermazione non la Legge 194 ma le parole di madre Teresa di Calcutta.
Parole che riteniamo violente nello spirito e nei toni, quelle utilizzate. Sui corpi delle donne ci si dà battaglia ideologica e politica, utilizzando volutamente parole che feriscono. Ancora più grave se l’uso di queste parole proviene da una giornalista, una donna, che della libera scelta di altre donne dovrebbe avere rispetto.
Di fronte al rischio concreto di marcia indietro rispetto a diritti come quello dell’interruzione volontaria della gravidanza – questo il termine corretto – crediamo sia necessario alzare la nostra voce a difesa di tutte le donne, quelle che scelgono di non ricorrervi e quelle che per i motivi più svariati vi fanno ricorso.
Per questo condividiamo quanto scritto nel comunicato di Cpo Fnsi – Ordine dei giornalisti – Usigrai e GiULiA Giornaliste che affermano: “Ferma restando la libertà di opinione su un tema delicato come quello dell’interruzione di gravidanza, le Cpo Fnsi, Ordine, Usigrai e le giornaliste dell’associazione GiULia si dissociano da un attacco così violento a una legge dello Stato e che per di più arriva da una dirigente del servizio pubblico. Chiamare “delitto” un diritto (peraltro riconosciuto dall’Ue) vuol dire fare disinformazione a danno dei diritti acquisiti delle donne che in piena legittimità ricorrono ad una legge dello Stato”.
La libertà di scelta, aggiungiamo noi, dovrebbe essere il cardine di uno Stato laico, che attraverso il servizio pubblico e l’informazione corretta – dovere di chi del giornalismo ha fatto professione – dovrebbe trasmettere la dimensione dell’accoglienza e del confronto, non della condanna ideologica.